mercoledì 7 gennaio 2009

Al di là del cancro (5)



17.Quattro colombe volano verso l'alto e ritornano.

Portano ferite le loro quattro ombre ( Garcia Lorca)


Era così miracolosamente vitale
con tutte le sue macerie e le irrealtà

con quel sottile disagio esistenziale

quell’impalpabile senso di inadeguatezza
che la rendeva così misteriosa e vulnerabile
era così sensibile e complicata, così imprevedibile!

Anche nel momento della disperazione

emanava una calma miracolosa

che la rendeva inattaccabile

perfino al male che la consumava

giorno dopo giorno, ora dopo ora,

madre per la befana non ci sarò più,

disse, e poi aiutò il marito a mettere in ordine

la casa per quando sarebbe partita per sempre.
Il cancro la divorava , la morte era in arrivo,

ed era lei a rincuorare tutti: dovete rassegnarvi

e non abbiate vergogna di sorprendervi a dire una preghiera,

può darsi che ne abbia bisogno

là in quelle sponde dove andrò , in quei strani giardini,

in quegli alberghi infiniti così pieni di mistero


morì come aveva profetizzato

il giorno della befana

ed ora sono dieci anni

che dorme nel cuore della terra


ogni anno, di questi giorni,

lungo la strada di Taviano

quattro colombe bianche

volano alte nel cielo

e tornano con quattro

ombre ferite

e una preghiera.


18.I poeti sono soli col linguaggio.

Ma è anche solo il linguaggio che li salva.


ci sono dolori che non hanno tempo
immobili enormi mille volte più forti

della nostra capacità di soffrire
mille volte più forti

della nostra capacità di sopportrali
dolori che restano lì,

inesorabili come pugnali nel cuore
dolori che non danno tregua
che ogni giorno si svegliano

quando noi ci svegliamo
e che di notte non ti fanno dormire
vengono vinti soltanto dalla necessità

fisiologica del sonno, ma non del tutto
perché il dolore non dorme mai

e spesso s’impossessa dei sogni
e li trasforma in incubi a volte

e a volte in inganni
bellissimi dolcissimi inganni

che si svelano ogni mattina
e ci trafiggono ancora e ancora e ancora
questo è il dolore per la morte di un figlio
e non è vero che queste grandi disgrazie uniscono
è tutto il contrario
ti lasciano solo e disperato ,

ti allontanano a distanze siderali
quelle ferite scompaiono solo con la morte

la sofferenza ha un valore

il dolore ha un costo

I poeti hanno solo parole

per fingere il dolore

e lo fingono così bene

da sentirlo davvero il dolore

e alla fine è il linguaggio che li salva.


19. I vecchi non sanno che piangere


la vecchiaia ha una sua dignità

e una sua memoria

che non puoi barattare con una mazurca



la vecchiaia non bisogna accettarla
bisogna conquistarla

e poi c'è la domanda finale, da un milione di dollari:

e se dio ci giocasse a dadi con l’universo?

martedì 6 gennaio 2009

Al di là del cancro (4)



14.La magia rappresenta il rituale relativo ai demoni , e lo stregone è il suo officiante (G. Roheim)

Eccomi qui , il giorno di Santa Barbara , a me caro , a guardare il sangue nero nel water e non so dove mi porterà questo percorso.

“Ogni inizio è invisibile , soltanto a poco a poco impariamo a vedere”
Un attimo fa ero affacciato alla finestra e guardavo nel parco che si stende sotto i nostri occhi due Husky , due cani con il ghiaccio negli occhi, che nel loro ambiente , in Alaska , - disse Maggiani - , rappresentano la vera protezione per un uomo, per un esploratore , certo meglio delle armi da fuoco, contro il possibile assalto degli orsi bianchi. Sono loro, con quel magico fiuto, a donare sensibilità, ad entrare in sintonia con la modalità d’essere dell’husky, e questo aiuta a controllare gli spettri della nostra paura, le belve , tipo appunto gli orsi bianchi. Sono loro che ci iniziano al rispetto delle forze della natura, alla prudenza, al sangue freddo. Che ci invitano all’ascolto, vero e profondo, della montagna che ci circonda... Ma ora quei due Husky nel parco di Malafede sono due povere bestie fuori ambiente , fuori asse, fuori mondo, fuori registro , fuori tutto , un po’ come me. E mi chiedo che significato possono avere lì , nel prato verde, dove sembrano totalmente estranei e indifferenti a tutto ciò che li circonda. Non giocano fra loro , né tantomeno con altri cani , non riportano il bastone al padrone , non fanno moine . Sono cani seri e tristi , forse, perché non si sentono in sintonia con loro stessi .
E così mi sentivo io nel vedere , lì , dentro il water , quella materia scura , con i fili rossi della voragine , contorni sottili della paura… Ma è proprio mio quel sangue brutto raggrumato nero schifoso che è apparso senza alcun preavviso , come per un sortilegio, una fattura , un wu-du , un maleficio , un rito antico, che sta per compiersi?, un rito che forse si è già compiuto in quell’atto stesso di pura fisiologia , mentre da qualche parte , chissà dove , sta officiando un occulto diabolico stregone gonfio di coca , con le danze le grida la lancia il fuoco ? Rifletto con l’ombra della mia solitudine, e il senso acuto di uno sbalordimento , incredulità. Non è possibile! Via! Tira la catena , premi il pulsante , e non pensarci più!. Ecco , non c’è più nulla, tutto è liscio, lindo, netto, chiaro. Il maleficio è svanito.
Ma l’angoscia sale.
E infatti , subito dopo si ripete l’emorragia. Non c’è alcuna magia. E’ tutto mio quel sangue che si reitera , che esplode, che “dice” eloquentemente che qualcosa non va , che fa mostra di sé, denso , raggrumato, fondo , pesante, oscuro, che si fa subito presagio di tormenti e di futuro nella tenebra.
“La strada, d’improvviso , divenne una galleria di specchi. Non si vedeva più il paesaggio: si vedevano volti. Guardavo venire avanti il mio”
Eccomi qui , fuggitivo dal presente , disperso nelle solite ombre della memoria che fanno ressa; il passato è un carosello , un carillon , tanti flashes irrelati , un treno da prendere in corsa , coll’ultimo vagone , magari ammodernato, abbellito rispetto all’ultimo viaggio. E’ il potere della memoria, il dominio dei ricordi che mi riporta come d’incanto ad una Santa Barbara di tanti anni fa , all’Anmi di Gallipoli , tra il fumo acre dei vecchi marinai , e l’odore stantio di birra di scarto. Davanti a me , i capelli ramati di una fanciulla dal volto pallido , favolosa onda di giovinezza in cui navigare con lo stupore della prima volta. Mi feci marinaio per una delusione d’amore , e ci ho passato trent’anni della mia vita , in mare, o davanti al mare. E quel mare è ancora lì , sotto i miei piedi , ancora pieno di desideri di addestrare il corpo la mente e lo spirito di giovani marinai , ma in trent’anni nessun enigma si è sciolto, nessun mistero svelato. Quel mare è solitudine , scoglio e pensiero ,quel mare è il tutto e il nulla , è il giro della mia prigione che non riuscirò mai a finire.
Ma ecco di nuovo quell’onda oceanica di capelli d’oro scuro , quella fiamma che illumina la stamberga dei vecchi marinai , che abbacina gli occhi degli spettatori , che travolgendo gli argini , le bitte e i cavi che tengono legata quella sgangherata zattera di cemento alla terraferma:

“In te si fa profumo anche il destino.
Batte la vita tua non mai vissuta
dentro di me
tic tac di nessun tempo”.

Non si imprigiona il mare in una gabbia di cemento, prima o poi il vecchio mare travolgerà tutto, argini, ponti e gallerie e tornerà la risacca sul Corso, statene pur certi, parola di Paolo De Tomasi, Capitano di lungo corso e primo pilota del porto . E se tu ora ci metti l’orecchio , amigo, quel mare di sale greco lo senti ruggire , ed è terribile . E’ come un rimbombo pauroso, da balena bianca , che risale l’onda con una possanza e una forza mostruosa, distruttiva , una Moby Dick imprigionata in una vasca da bagno.
Nel frattempo riecco la fanciulla dai capelli ramati , Barbara , che risponde fiera al console Marziano, che le ha detto che è giovane, bella e ricca , potrebbe aspirare ad un trono , invece non capisce perché si sia fatta cristiana, gente che rappresenta la feccia della società romana : “La giovinezza è solo un favore temporaneo. La ricchezza è infida. Il trono è superbia. E la bellezza è come la folgore, passa in un lampo. Nessun bene vi è fra gli uomini che non sia frammisto al male...Solo Dio è luce, guida e salvezza eterna”. Tutte cose assurde , dice il console romano , che le ha messo in testa quel filosofo da strapazzo, quel tale …..Rinnega queste bestialità. Per tutta risposta , Barbara gli porge la sua testa , bellissima , con puerile ostinazione : “ Vorrei conservare della vita soltanto la visione dell’infinito bianco del muro della mia torre” . E quel crudele carnefice , Dioscuro , colui che l’ha generata, con un colpo secco di scimitarra le mozza di netto il capo . Spietate fiamme del mio cuore , che fate? Non incenerite quell’empio? Che fa il sole nero, plasmato nel dolore?
Non può nulla. Il sole è spento . E il cielo si oscura. Ma ecco una folgore squarciare le tenebre e incenerire l’infame genitore. Di Dioscuro , ruffiano di Roma imperiale, non rimane nulla. Ma non torna più nemmeno il sole . Resta lassù , in quel profondo buio. Un buco nero.
Mi alzo, confuso, opaco, disperso , e come un automa mi vedo uscire di casa... Ma non sono io a dirigere i miei passi, i miei piedi non sono più miei. Sono come un automa. Fa tutto mia moglie, che ha preso in mano la situazione e mi guida. Mia moglie è tutto per me. Madre ,sorella , figlia, guida. Dice le mie parole, anticipa i miei pensieri e le mie mosse. Mi prepara il terreno, perché io sono come cieco, senza di lei. E lei, novella Antigone , mi porta per mano. Dovevamo andare a comprare il televisore a cristalli liquidi. Ci troviamo , invece , al pronto soccorso di Casal Bernocchi , con un medico perplesso che scuote la testa e un infermiere che allarga le braccia.


La parola è una spina:

“E’ una melena . Vada al Grassi di Ostia. E buona fortuna”





15. I poeti sono la nostra coscienza sveglia.


in fiamme, in autunni incendiati ,
arde a volte il mio cuore,
puro e solo . il vento che lo desta,
tocca il suo centro e lo sospende
nella luce che ride per nessuno:
quanta bellezza sparsa!

Vicino a me, mia moglie e mia cognata, i tesori della famiglia. Non esistono altri tesori. E il giorno che si fa più buio, più buio che nel cavo dei nidi notturni. A Ostia tutto è grigio , l’acqua è grigia , i cieli grigi cristalli , e un raggio bianco cadendo dall’alto dal cielo forma strisce di colori leggerissime, che man mano si fanno strumenti musicali… Sono i poeti , la nostra coscienza sveglia, che notano l’inesprimibile , che fissano il turbine…che evocano note musicali .Ma forse quella musica la sento soltanto io , che me ne vado con la fantasia a ordinare il cielo, a deviare il vento, prima che penetri nel baratro.
Le due donne che mi stanno vicine , invece sono serie , tristi , scure in volto , preoccupate , e ripetono : Su, coraggio!...Mi viene in mente un personaggio di Moravia. “Non c’è coraggio e non c’è paura…Ci sono soltanto coscienza e incoscienza. La coscienza è paura, l’incoscienza è coraggio…

16.Non sono gli dei che creano e spiegano gli uomini , ma al contrario sono gli uomini che creano e spiegano gli dei. ( F. Remotti)


Il grande buco che non si sa dove conduce.
Il buco nero.
Il buco e la conoscenza .
Il vuoto e la conoscenza
Bisogna prima spazzare bene il cuore
e la mente
Via l’angoscia
Via questa mezzanotte dello spirito
che porta
che sostiene l’alta fiaccola
e i sogni vesperali
arsi dalla Fenice
che non vengono accolti
da nessuna urna.
Dov’è l’oro antico
che agonizzava lungo il petto
intorno al collo
con la prora di una nave?…
Smettila di pensare!
Non c’è nulla da fare.
Il gioco non è tuo.
Aspetta!
Aspetta!
Ecco il guanciale:
Riposa.



Dentro di me Troia e le Twin Towers .La regione del gioco e dell’ordine segreto che lo regge . Sì, lo so, la scienza , l’arte , la cultura non salvano
né redimono. Ma possono aiutare a vivere , a sopportare l’orrore del vivere , in certi momenti. Le linee prospettiche , le diagonali di Paolo Uccello, le traiettorie di Totò Toma , il poeta rampante, che viveva sugli alberi e amava gli animali e il vino rosso. Gli sfondi favolosi di Durer, “Il Cavaliere e la Morte”.
La morte .
Il mondo ha smesso di pensare alla morte .
Del resto muoiono solo le teste di cazzo, dice Mario Monicelli , che ha più di novantenni, ma si crede immortale….
In realtà siamo tutti già morti e non lo sappiamo, ci aveva detto Euseibio Montale. Siamo tutti in un teatro d’ombre cinesi. Abitiamo un mondo ostile fatto di passaggi.
Il passaggio di un bisturi su un tavolo di marmo o di ferro. I pochi minuti , i pochi secondi ,le frazione di secondo, tutto è essenziale, tutto è eterno. Attraversiamo , se possibile , con dignità , l’indifferenza dell’universo che ci circonda, il punto di fuga, lo “scamuzzolo”. Cerchiamo costantemente la via di fuga, il pertugio da cui evadere dal labirinto , dalle spire del serpente, dal morso velenoso dello scorpione, dalla cloaca massima in cui si è subito immersi appena nati, da ciò che sbuca nel silenzio, da ciò che buca il silenzio.
Non più soli in un disumano universo, se hai un libro con te. Ma dev’essere un
libro cazzuto, davvero cazzuto, con le simmetrie dell’orrore e dell’amore.
Il sublime e l’immondo che ci circonda, l’amore dell’amore, quella forza che tutto muove , l’eternità dell’impressione, una fonte di perennità nell’attimo prescelto.
Ricordo Boccioni e i suoi funerali, trent’anni appena, morto per una caduta da cavallo, un genio riformatore come lui, e i grandi ventagli, lo spiegamento delle bandiere , il drappo rosso in rima visuale nel sole che buca un cielo arancione. Scorie e segni di una astratta solitudine della luce.
La luce anche può essere sola, con lunghi esiti di memoria.
Si può dipingere la luce delle stelle morte da millenni , e dipingere la terra con la stessa terra che non esiste più, la terra d’ombra di Afro Basaldella, con la sua solennità e una spiritualità tutta chiusa in se, con i religiosi effetti evocativi ed emotivi, i pochi colori addensati al centro dell’immagine, alleggeriti verso l’esterno dal nero all’ocra chiaro, attraverso impercettibili gradazioni tonali, il neoespressionismo primitivo africano, i totem le maschere i graffiti di Basquiat , morto per droga a vent’anni o poco più, e poi il Cattelan erede di Duchamp, Piero Manzoni, il genio della merda d’artista , Cucchi , ultimo espressionista visionario , e De Koonig che fa esplodere le forze primordiali con le sue donne astratte, oppure l’acqua ghiaccia di Jasèer Jhons, le spugne blu di Yve Klein, tutte cazzate più o meno.
Tutte cazzate.
Tutte cose che hanno a che fare con l’arte, più o meno, e con quel sovrappiù che è la cultura, diceva Tagore..
Mi fanno entrare in una stanza vuota, c’è solo un lettino e due medici giovani, da pronto soccorso di lungomare , da ER di Ostiamare.

Meravigliose le tue braccia
Quando morirò vieni ad abbracciarmi
Ma senza il pullover

lunedì 5 gennaio 2009

Al di là del cancro (3)


9. Sei nuda. Sei la notte.


Il male, dicevamo, il diavolo ,le tenebre, l'abisso,
la privatio boni, gli stoici,
Massimo Cacciari, con la sua barba da inchiostro dalmatico
il male che si svuota delle sue valenze negative e misteriose ,
il male che diventa un aspetto integrante della vita
e si tramuta in bene , e allora Adamo che mangia la mela
è il primo atto di coraggio dell’uomo,
che sceglie la conoscenza e la libertà ,
che usa male la propria libertà
e manda affanculo il Padre Eterno
che passeggiava lì nel Giardino
come un guardiano troppo geloso.
Ma quale libertà se tutta la nostra vita
è già condizionata dai geni ereditati ,
dalla nostra nascita,
dalla nostra famiglia,
dalla nostra educazione,
dalle nostre amicizie ,
dal nostro paese natio,
dai luoghi nei quali
abbiamo trascorso la nostra esistenza,
tutte queste variabili
che costituiscono la nostra personalità
e di cui non abbiamo alcuna colpa o merito.
Se uccidi un uomo al di là del fiume sei un eroe
Se uccidi lo stesso uomo al di qua del fiume sei un assassino
L’armonia nascosta è più forte di quella manifesta
Dice Eraclito

E la notte è nuda

è fredda

è cieca

dammi il tuo sguardo

così ciò che è separato

sarà unito




10. Saprò parlare dei quattro sguardi?


E il paradiso? Esiste un paradiso?
Credo di sì, Signora, ma i vini dolci
Non li vuole più nessuno.

Il male è una sfida al pensiero , una provocazione a pensare di più,
a pensare altrimenti
La malattia diventa così lo strumento lo stimolo
verso futuri traguardi medico scientifici
L’allargamento conoscitivo è l’unico antidoto alla depressione
Mutazioni del nostro dna
Il genoma umano e il velista americano Center ,

ex infermiere nel Vietnam,

scopatore sommo di donne d'ogni continente ,

oggi nuovo padrone dell’universo.
Nuovo dio con la testa liscia e la barba bianca.
La catena dei processi cellulari della malattia tumorale
Il male è una caduta un errore
Una reazione una disattenzione
Dobbiamo capirlo, risalire fino alle sue radici

per afferrarne le cause più segrete
Quando il mistero viene svelato

il demone scompare
Non ci sono bianco e nero
Il bene e il male
Ma molte sfumature di grigio
Una luce e la sua ombra
Il dio dei coccodrilli impone loro di mangiare gli uomini
e poi piangere
Cerco il divino nella vita di ogni giorno
Anima socratica, anima come psiche come pensiero
pneuma come vento
Di noi restano le idee
E il patrimonio genetico

che trasmettiamo ai nostri figli
E il quarto sguardo

quello del paradiso

è come un sasso scagliato

contro gli ebrei

che si muta in garofano

quando lo colpisce netto alla tempia.


11.Sugli sguardi della memoria, oltre la morte, soffia il silenzio...


Mi preparo a morire ogni giorno
Recitando la poesia di Pavese
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi…
Le recito ad un’infermiera francese
Violante

sposata ad un salernitano nano
quella che mi farà la barba

in modo divino

Lascio lo spazio agli altri
Come fanno gli animali che da vecchi
Si staccano dal branco
Per andare a morire
Credo che una vita basti e avanzi
Una vita lunga e felice
Dopo la prova terribile
Con figli nipoti per quattro generazioni
E una morte sazia di giorni
A centoquaranta anni
Quando sei ormai velo , spirito,
quintessenza della natura stessa
e il morire è lieve come un volo di farfalla
non ho visto madonne piangere , no,
ma cristi in croce sì, eccome
Che prevalga in noi la tentazione del bene
il paradiso del Tintoretto
in quel quadro dove tutto tende al supremo –
la luce i volti gli sguardi , le mani –
io trovo il segreto del funzionamento della vita
è la cellula che venera il suo dna
la luce divina è il nucleo e attorno ad esso
si assiste ad una venerazione quasi assordante
nella sua immobilità, di ogni singola molecola
tutto sempre e comunque proiettato
con venerazione all’affermazione dell’essere,
del sé
intorno ad essa
Disciogli il tuo cuore nell’acqua come la cartina di Vichy.
come facevamo una volta da bambini

Vedrai poi come ti sentirai meglio.
Falò senza fuoco
Lancia spuntata
Matita stemperata
Pietra di zavorra
Che affonda
Ma senza ansia
Senza panico
Dolcemente quasi
Il delirio astrale si è di sfrenato
Un male calmo e lucente t’appare
E il tuo nome finisce nell’acqua
Con un tonfo
Nel mare stornellano spigolatrici
Con voci di stelle
E uno stupore di ciliegi che sa di rimorsi
Oh com’è dolce morire
Quando fioriscono i ciliegi

dice Mishima orgoglio del Giappone


Sei passato
Sei andato oltre
La tua vita è consumata
È la tua ora suprema
Ora che cosa avverrà?
Sei privo di te
Non avverti più il tuo peso
Le cose d’intorno ti oscillano
È l’incanto sospeso
Tra il suono ovattato
E la nebbia dei cuscini
Ah resta immobile
Allo scuro
Non ti muovere
Per nessun motivo
Resta sommerso
In questo gorgo d’azzurro
Il viaggio sta per finire
Forse

12. C'è una canzone nel cuore dell'aquila. Ma le sua ali la trascinano altrove.


L’anima non sa più nemmeno gridare
Ora i minuti e i secondi sono tutti uguali e fissi
Come i giri di ruota della pompa dell’acqua
Il viaggio finisce qui
Forse
Buona notte.
Dove va la memoria?
Che cosa fa il vento
Gli alberi il mare
I libri le lettere e le voci
Che ho lasciato
Gioca a scacchi
Cavalca il bianco a elle
Vai allo sbaraglio con la regina
Non c’è più alcuna via di fuga
Devi affrontare la battaglia
Mamy, I can’t
Non posso
In questa casa non posso non esiste
Tu hai cuore da leonessa sudafricana
Ma tutto è cancro
Non solo i gas di scarico,
il fumo di sigarette,
e tutti i fumi possibili delle industrie…
non solo i satelliti
e le mostruose antenne via etere….
ma perfino i caffè che colano paraffina ,
e i formaggi a pasta dura
e i datteri in scatola
gli orologi, i pulsanti, i computer, i telefonini,
pieni di luci e aghi radiottivi …
tessitori pazienti e luminosi di cancro…
e i fosfati, i fertilizzanti,
queste divinità agrochimiche,
contaminano il cancro….
Una prevenzione ambientale anticancro
priva di falle sgretolerebbe gli stati moderni,
l’economia , le industrie , sarebbe in tutti i sensi
un prodigioso anticancro,
ma per fare questo non abbiamo né volontà né forze…..
neanche la più modesta raccomandazione
anticancro dell’OMS arriva ad agire sui poteri pubblici…
I politici si sforzeranno sempre di coprire la verità
perché la loro dottrina unica e non troppo segreta,
in qualunque stato di questo mondo,
è che una moltiplicazione all’infinito dei letti di dolore
per dilatare la potenza economica e militare è un fatto accettabile.
Ma I medici non devono preoccuparsi
dei danni politici ed economici

che una loro denuncia può fare,

perché sono danni fatti al male….

Se temono l’allarmismo lascino fiorire il cancro

o cambino mestiere…

Ma il problema non è solo medico e sociale ,
è un enigma del pensiero , uno dei fili vaganti,

difficili da risalire,
al destino umano….l’attività umana inquina….
l’attività umana è cancerogena …
sembra che l’umanità non possa esistere
senza almeno una malattia universale unificatrice,
adeguata ai suoi pensieri e ai suoi mutamenti

parola di Guido Ceronetti.

Al di là del cancro (2)


3
Il pane è e insieme rappresenta il corpo. ( G. Batenson)

Ma tu a che pensi, amigo?
S’è aperto un vuoto.
S’è fatto vuoto attorno a te
Ho un gran vuoto dentro
E guardo avanti
Dietro le nuvole
Dietro il sipario
Circoli d’ansia
Azzurri. Cadmio. Granata.
E il friggere della materia.
La finestra
E lo specchio.
Il puro cigno sospeso
Tra cielo e onda.
Mi muore in petto
L’amore.
Orizzonte indefinito
Di mondi possibili

4

C’i sono due tipi di lutto: quello che attraversa una dimensione del tragico
E quello istituito per sopportare il trapasso dei defunti (R. Bodei).

Ha lasciato un gran vuoto tra di noi.
(Epitaffio trito e gentile).
Poverino. Era uomo – era vile
( Epitaffio montaliano)
Non era molto vecchio
Se ne è andato al momento giusto
Ha superato l’esame.
E’ stato fortunato.
(Epitaffio eduardiano)
Aveva ancora una volontà di ferro.
Governava il vento
Spazzava l’aria con le sue parole
E il suo sguardo sapeva di stelle
spaziava
cercava l’infinito.
( Epitaffio lorchiano)
E le ceneri
le ceneri dove spargerle,
se non in mare
nel suo mare amato di Gallipoli?
Giusto.
(E’ un classico. Teatro del teatro).




5.
Era il limite estremo accessibile alla navigazione ( J. Conrad)

E pensare che dietro c’è il vuoto
davanti c’è il vuoto
intorno a te c’è il vuoto
C’è solo il vuoto.
Il niente.
E una preghiera, ma non tua.
Sta negli occhi di tua moglie
E di tua cognata
vicine a te
in quel tanfo dolente
di corridoio d’ospedale ,
a farti triste compagnia.
E tu leggi nei loro sguardi
nei loro visi pallidi
nelle labbra serrate
negli occhi spauriti
la disperazione
il male terrifico da scongiurare
da esorcizzare.
Dentro di me minuetto
di malinconica attesa.


6.

Questa mia esperienza di catastrofe poteva produrre un cambiamento, se avessi accolto e incentivato il mio desiderio di curiosità. ( A. Lombardozzi)

Ecco la tramontana
Che tutto schianta
L’ora che passa
La cupola del cielo
Le foglie e gli uccelli sui rami
I crolli e i tonfi dentro di te
Le “liquidazioni”.
E tu con le braccia gonfie d’aghi e tubi
In attesa d’essere esplorato
Nei sentieri innominabili
E intanto ancora Melena
Un tango argentino di sangue nero.
Esplorazioni dentro quel buco nero
Dentro quel vuoto che forse non è vuoto.
Nel vuoto qualcosa s’è annidato.
Il drago di don Tonino e di David Maria Turoldo
Il drago di Maria Teresa Capoti
Il drago del finanziere Casole.
Che cos’è il vuoto in fondo?
Mancanza di uno spazio?
Ma c’è pure una filosofia del vuoto
Questo buco inaspettato
Questo buco subitaneo
Questo buco ora essenziale.

7
Aprire una finestra sul silenzio e sul dolore dell’Altro.

Domenica prossima c’è il torneo di tennis.
Il doppio giallo alla Madonnetta
con Mario Piero Luca e Julio
un hidalgo dalla triste figura.
E poi c’è il dentista di via Usellini
(pittore un po' teatrale ,

e moralista a tempo perso)
con il ponte a bilico

da quattromila euro già pronto…
Che dice dottore?

Ce la farò ?
È un libanese nerissimo
un musulmano con gli occhi

iniettati di sangue
quello che mi sorride a Villa Pia
dove mi hanno trasferito
dopo che sono affondato come un tallone nudo
nel suolo screpolato di dodici ore d’attesa
con vecchi gementi che invocavano la madre
e piangevano come bambini

( ai vecchi non rimane
che la croce la memoria

e il pianto)
e le ore fallite
i rombi di treni
le sirene delle ambulanze
e le voci arroganti delle infermiere
lungo gli infernali corridoi
“Ti trattano come una pezza da piedi”
(niente di nuovo sul fronte sanitario).
Ma c’è sempre qualcuno che indovina

il tuo senso amaro e profondo

di angosciosa solitudine?
“Se lo può dimenticare amico mio”
“Domani mattina presto prelievo”
dice all’infermiera marocchina
e anche a quella bionda ghiaccio ucraina
che fanno entrambe pratica sulla nostra pelle
e sulle nostre vene.
Ma io non sono più lì ormai.
La mia mente viaggia

come nomade

per deserti e oceani
riesplora vicende fantasmiche e irreali
mai poi alla fine ritorna sul vecchio cuscino
d’un letto d’ospedale.
La mia mente nomade
ha bisogno di mettere le tende da qualche parte
sostare in un luogo di confine
sul limite estremo navigabile.
Ma dove?
Alzo lo sguardo per vedere
se trovo ancora un cielo.
Non c’è nessuna siepe
l’orizzonte non è infinito
E’ sbarrato
Davanti a me
solo nuvole nere e sparse macerie.
Rovine
Tutto sembra condurti
dentro il cuore di un’immensa tenebra
E non ci puoi fare nulla.
Nulla .

8.
L’uomo è costituito di una molteplicità di aspetti ( ( S.Rushdie)

Sono come un bambino al primo vagito
Il neonato possiede il presentimento dell’esistenza di un seno?
Certamente! E guai se quell’incontro non si verifica.
Ci sarà una frustrazione perenne.
Una vera e propria mancanza per tutta la vita
Mi attacco a quel seno della mia santa mamma Ida.
Che sta in cielo da una vita intera.
L’ho goduto così poco quel seno siculo-napoletano!
Oh vorrei rientrare nel suo utero caldo!
Ma ora sono senza memoria . E senza pensiero.
Pensare non è bello quando devi affrontare faccia a faccia

il verbo più terribile che esista: il verbo essere.
Il pensiero si apre su di un corpo perduto.
Su un volto cancellato.
L’incontro fra una attesa e una frustrazione.
Su quei chiari mattini d’estate.
Quando l’azzurro è inganno che non illude.
E si sente il crescere immenso della vita...

domenica 4 gennaio 2009

Al di là del cancro




Caro Ottavio,
è stato detto che la penna ha qualche affinità con la spada, ed io scrivo per combattere, per ferire o perire . Se tu fossi un’ombra ti accorgeresti che le ombre non si rassomigliano . Ed io scrivo anche per tutte le ombre che ho visto, anzi , che abbiamo visto nascere e morire qua dentro , in questo ospedale modello , che ospita i malati di cancro , scrivo per decidere la mia morte , impegnato a condurre a termine il compito che mi sono assegnato. Ecco, so , ad esempio , che dopo di noi, in questi letti dormirà l’universo intero , e non sarà più lo stesso universo , perché noi ne abbiamo modificato la forma, ne abbiamo segnato il destino, con il nostro dolore, soprattutto il tuo, caro Ottavio, così straziante, così atroce , ogni notte impiccato sulla sedia a invocare il torvast , e altri antidolorifici che non ti facevano nulla.
E ogni giorno a guardare il transito delle persone , infermiere, dottori, parenti, con occhi diversi, in modo sempre diverso, fino a decidere , noi, dentro il letto, con la febbre, con la sofferenza, a decidere di farle restare così, per sempre, come le vedevamo – sublimi o orrende – in quel momento, in quel preciso momento, quando apparivano al nostro sguardo di rive malate, di nubi folli, di sogni e d’oblio.
Cercavamo lì, tra le lenzuola , le padelle, l’odore di sangue e di piscio, le particelle , la particella di Dio, per dimostrare senza alcun dubbio, che Dio c’è, che Dio esiste, o che facevamo il tifo per lui , affinché esistesse . E Dio veniva davvero , di tanto in tanto , sotto forma del primario, con i capelli candidi e il bel volto liscio senza neppure una ruga, quel bel volto da statua greca, o latina , Licurgo, Cicerone , Seneca, freddo lontano distante, ma fiero , giusto , implacabile.
Qui ci trattano da pezze da piedi, signor Primario-Dio, dicevo io, - da vecchio colonnello in pensione , - e noi soffriamo, non siamo abituati alla sofferenza fisica, ma solo a quella dell’anima, a quella sì, ma non abbiamo cognizione della malattia …E il Primario-Dio faceva ampi gesti con la mano , ed era come se sollevasse un’alba nuova , proprio in quel momento . E il profumo dell’alba entrava nella stanza opaca , per tutto il tempo della sua presenza, circa due minuti, quando con il camice immacolato rasentava gli orli del nostro deserto ,della nostra solitudine bianca , e diceva ai collaboratori, Vedete , cari colleghi , questa sofferenza , questa lacerazione ? Ci deve ricordare che dobbiamo contare sulla nostra fedeltà alla professione , sul nostro sacro giuramento. E l’esperienza c’insegna che talvolta il male acconsente a concedere una tregua al paziente , poiché esso ha bisogno di sonno. Lei , a casa, prendeva qualcosa per dormire? Sì, lexotan da 1,5. Vostra Suprema Solennità . Bene, bene , che gli siano date venti gocce di lexotan ogni sera prima di dormire.

2.
Ciò che rende tragico questo luogo siamo noi che lo abitiamo. Regole abitudini spazi cose gesti consueti , intimità , tutto spazzato via in un giorno, un calcio all’aria, un vaffanculo, un idraulico di Soverato , un maresciallo dei carabba di Albano , un contadino di Avezzano , un muratore della Scurgola, un piccolo imprenditore della Garbatella , con il pancreas devastante , cellulare infiammato e televisore personale acceso h24, questi i miei compagni di viaggio, prima di te, Ottavio.

Ho perso la nostalgia delle ricordanze
Vado sempre più a fondo
Nei sotterranei della mia coscienza
L’essere non invecchia mai mai
L’anima rimane fanciulla per sempre

Avevo un amico ch’era un genio assoluto
Era taciturno e solitario
Tutto preso dalla bellezza della matematica
Abbiamo guardato l’atomo da vicino
Persi in panorami inconcepibili
Con la ragione si fa poco strada
È l’intuizione che conta
E anche la controintuizione
Che è la chiave di tutto
Le particelle subatomiche cambiano
A seconda di come le guardi
Possono essere corpi o onde
Tutto dipende da te ,dal tuo sguardo

Dicono che col cancro bisogna combattere
Che non ci si deve rassegnare
Che si deve avere la volontà di guarire
E’ una battaglia che tu puoi vincere, amigo.
Non è vero
Il cancro se ti vuole uccidere
Ti uccide
Altrimenti no
Ma non dipende da te
Dalla voglia di vivere che hai
Dipende solo da lui
Ho visto gente lasciarsi andare , sprofondare nella disperazione
O nell’inedia , e campare ancora degli anni , o addirittura guarire
Altri invece li ho visti lottare con tutte le loro forze
Crederci
Pateticamente crederci
Illudersi e illudere gli altri
E poi consumarsi in sei mesi

Ma una donna che ti aiuti , ci vuole.
E’ necessaria.
E’ indispensabile.
Ma come fanno le donne ad essere così fragili
E pure così forti
Di quanti strati è composta la loro personalità
Quale segreto nascondono nel fondo dell’anima?

( continua)

venerdì 12 dicembre 2008

Gioachino Belli era un fijo de...



1. Presentazione

Gentili Signore e Signore, caro pubblico, stasera parleremo di Gioachino Belli, grande cantore di Roma, anzi della plebe di Roma del suo tempo ,ovvero la prima metà dell’ottocento , la Roma analfabeta del papa-re, di Mastro Titta, di Pasquino , che abbiamo visto riprodotta nei film di Luigi Magni . Com’è noto il suo grande affresco, che si può paragonare ad una sorta di Commedia dantesca laica , e infatti sarà chiamato il “Commedione”, assume il valore di una rivelazione e di una testimonianza universale di un popolo reietto e oppresso.
Ma al riguardo devo fare una premessa , credo necessaria. Chiunque abbia avuto a che fare con Belli, a livello di studio, d’insegnamento , o di curiosità artistica, come in questo caso, è andato incontro a grosse difficoltà, sia legate alle contraddizioni del personaggio, che alla sua lingua tutta particolare, un dialetto romanesco non facile , colorito, a tratti volgare, e perfino osceno, come l’era duecento anni fa , e come lo è , in gran parte , anche oggi , ove non sia purgato, edulcorato, reso potabile con qualche espediente , ma in questo caso perde in vivezza, naturalezza, autenticità, energia, vitalità, espressività. Noi vi parleremo di Gioachino Belli così com’è, nudo e crudo, ma non solo di lui . Come vedete c’è una band, la KiwiBand di Casal Palocco, costituita da Ezio( chitarra) Piero( batteria e vocalist) e Rino( tastiera), che canterà delle canzoni rigorosamente romanesche, canzoni conosciute da tutti , ma anche con una novità assoluta costituita dal leit- motiv , il gingle della serata…Gioachino Belli era un fijo de…C’è anche una splendida attrice, Marianna Fedele, che svolgerà il duplice ruolo contrapposto , ma direi fino ad un certo punto, di amante del poeta , la famosa Cencia, e di antagonista dello stesso , nel senso che avrà l’ingrato compito di dare addosso al poeta, e c’è un artista, Giacomo Lombardozzi, che è colui che ha realizzato il disegno di copertina…
Uno dice Gioachino Belli e rivede la Roma autunnale delle fontane e dei pini di Respighi con la musica sonora, che è una distesa di balconi e di alberi con le foglie dei platani sul lungotevere che battono le mani , la Roma dei pretini e dei marinai che sciamano per San Pietro e Castel Sant’Angelo , la stola e il solino, la croce e il cannone, l’incenso e l’odore di polvere da sparo, i topi e i gabbiani, la spada e la sete , le metamorfosi assurde , la nostalgia del mistero , le donne inginocchiate e i mattini che precipitano dentro di te, la Roma di quelle giornate meravigliose, di quelle giornate così splendidamente romane che perfino uno statale di infimo grado , be’ , puro quello se sente arricciasse ar core un nun socchè , un quarche cosa che rissomija a la felicità...
Ma ora, gentili signore e signore , il tempo stringe, iniziamo, cerchiamo insieme di stabilire chi era effettivamente Gioachino Belli…Er Belli era…..

LA BAND CANTA IL GINGLE



2. SAINTE - BEUVE (EZIO)

Extraordinaire ! Merveilleux !, io ogni volta che sento i suoi versi m’incanto, starei ore e ore ad ascoltarlo. Chiudo gli occhi e mi ritrovo a Roma, a Trastevere coi suoi colori , i suoi odori e i suoi turgori.
Avete un grande poeta , a Roma , un poeta originale : si chiama Belli ( o Belì) . Gogol me ne ha parlato a fondo. Scrive sonetti in dialetto trasteverino, ma dei sonetti che si legano e formano un poema: sembra che sia un poeta raro , nel senso serio del termine, pittore della vita romana. Gogol mi ha parlato d’un dialogo tra una madre e una figlia dalla finestra , molto buffo. Non pubblica , e le sue opere restano manoscritte . E’ sui quaranta: piuttosto malinconico di temperamento , poco estroverso. A Roma è come per la statua di Pasquino: togliete il coperchio , il sopra, andate al torso: ritroverete il più mirabile antico.








3.AUTORE
E fu una profezia, questa nota che il grande Charles Sainte-Beuve scrisse tornando da Roma a Marsiglia nel 1839. Era lo stesso letterato che aveva scritto , con acutezza e cattiveria, che “ Roma non è altro che una città di provincia , attraversata dagli stranieri”. In quelle poche righe, poi dilatate in una lettera e in una memorabile recensione, troviamo individuati i gangli del caso Belli: il carattere organico, poematico, dei sonetti ; la grandezza della sua poesia ( un poeta vero, un poeta popolare) , il fondo malinconico che serpeggia sotto la superficie comica, la condizione di clandestinità, il senso del sublime…Gogol, Sainte Beuve e altri mistici pellegrini del viaggio in Italia, allora di moda, cercano una città sepolta e scoprono invece , nei suoi versi, la voce di una città viva, fatta di carne e di nervi, di sangue e di sogni., una città sublime e stracciona , urbe imperiale diroccata, cuore della cristianità immiserita a borgo, luogo mentale di un ‘opera che è insieme realistica e simbolica, fisica e metafisica, Gerusalemme e Babele , che lui ama e odia, ed è costretto a correre continuamente dal sacro al profano, dai sublimi spazi dell’eternità al fango della cronaca, da dove nascono questi singolari fiori del male, che non danno scampo a nessun essere umano, a partire dal peccato originale d’Adamo ed Eva. Che il Belli fotografa prodigiosamente in uno scatto quasi irrelato, metafisico, ecco Dio il padrone del Giardino , il Dio che non perdona , che : appena che a maggnà l'ebbe viduti,/Strillò per dio con quanta voce aveva:"Ommini da vienì, sete futtuti"…
Oppure rimeditano il Qoelet, Giobbe , Leopardi e Quevedo, come ne “La vita dell’omo”, esemplare per la composta e insieme drammatica recitazione di eventi, che partono dal grembo materno e vanno oltre la vita. Qui il Belli , in quanto a pessimismo sulle sorti dell’uomo, supera ogni limite possibile.


Nove mesi a la puzza: poi in fassciola
Tra sbasciucchi, lattime e llagrimoni:
Poi p'er laccio, in ner crino, e in vesticciola,
Cor torcolo e l'imbraghe pe ccarzoni.

Poi comincia er tormento de la scola,
L'abbeccè, le frustate, li ggeloni,
La rosalìa, la cacca a la ssediola,
E un po' de scarlattina e vvormijjoni.

Poi viè ll'arte, er diggiuno, la fatica,
La piggione, le carcere, er governo,
Lo spedale, li debbiti, la fica,

Er zol d'istate, la neve d'inverno...
E pper urtimo, Iddio sce bbenedica,
Viè la morte, e ffinissce co l'inferno.


Belli saprà farsi interprete sincero e giusto, senza partigianerie o infingimenti , della sostanza più genuina del suo popolo , di cui dipingerà , come nessun altro , vizi, e virtù, nascita e morte , consegnandolo così alla eternità umana della poesia fino al “giorno der giudizio” , che s’apre con un epos michelangiolesco e sonorità barocche di una naturale fastosa grandiosità tutta romana , e si chiude con una sinestesia dantesca quasi surreale , e un finale ambiguo e inquietante.


Cuattro angioloni co le tromme in bocca
Se metteranno uno pe ccantone
A ssonà: poi co ttanto de voscione
Cominceranno a ddì: "Ffora a cchi ttocca."

Allora vierà ssù una filastrocca
De schertri da la terra a ppecorone,
Pe rripijjà ffigura de perzone,
Come purcini attorno de la bbiocca.

E sta bbiocca sarà Ddio bbenedetto,
Che ne farà du' parte, bbianca, e nnera:
Una pe annà in cantina, una sur tetto.

All'urtimo usscirà 'na sonajjera
D'angioli, e, ccome si ss'annassi a lletto,
Smorzeranno li lumi, e bbona sera.



I sonetti , o il Commedione , questo monumento che Gioachino Belli fa della plebe romana , non sono una teatrale catarsi del Belli-giullare , né una salutare liberazione nel piacere anarchico e nello sregolamento dei sensi, ma la denuncia e insieme la condanna di un moralista di quel caos babelico che è la commedia romana che si svolge da tempo immemorabile , tra cronaca e metastoria, in quella stalla e chiavica der monno che è la città eterna… L’eterna Roma alessandrina e babelica , la sfaticata Roma dei gatti e dei papi, dei cardinali e delle mignotte , la Roma centro di ogni confusione linguistica e di ogni promiscuo disordine , curia-lupanare e tonaca-bordello; questa Roma gregoriana del Belli dove la popolana ha il piglio della matrona e dove lo sguardo corre vertiginosamente dal sublime al basso , come dal basso al sublime, dove la rovina romana e la chiesa barocca ricordano quotidianamente lo scontro fra caduco e l’eterno , viene rievocata da un altro grande moralista ilare e ferito , Carlo Emilio Gadda , che la descrive nel “ pasticciaccio” come una sorta di nuova Babele del ventennio fascista:

“ Furti ,cortellate , puttanate , ruffianate, rapina , cocaina , vetriolo veleno de tossico d’arsenico per acchiappa’ li sorci , aborti , manu armata , glorie de lenoni e de bar, giovenotti che se fanno paga’ er vermutte da una donna, che ve ne pare?”

Ma c’era stata ancor prima la Roma del ghetto di Zanazzo, e poi la Roma delle serenate e di Villa Glori del Pascarella , e quella aforistica arguta tutta bonaria satirica da caffè e da portineria del Trilussa, e la Roma degradata e fantasmica di Scipione , quella torbida di Moravia, la Roma cruda di Pasolini , la Roma barocca dolce-vita , di una sensibilità tutta femminea,di Federico Fellini, fino alla Roma di oggi delle puttane di Tor Sanguigna , o “de scemo de guera” di Ascanio Celestini ..Ebbene, senza il Belli , punto fermo e centro motore , strada maestra e pietra angolare di tutto , modello inarrivabile, non ci sarebbe stato niente di tutto ciò . E non lo dico io , ma quel geniale regista metà romagnolo e metà romano che è Fellini , descrivendola nel discusso film omonimo , una Roma turgida in cui la fissità mortuaria della pietra si confonde
con l’empito sguaiato dell’ingiuria , la roma-rifugio degli increduli, la roma-antidoto alla solitudine dell’uomo , la roma -sospesa tra il rubicone e la talpa della metropolitana, la roma -ventre di vacca , ma anche roma-utero nel quale rientrare ,la mamma-roma ma anche la roma tutta humour e malinconia di Attalo , la Roma disperante del traffico che tutto paralizza, la roma delle sfilate di moda e dei carri armati , la roma delle battone di tutti i colori e di tutte le razze , la roma che inghiotte gli uomini e li flagella in un fangoso trionfo , la Roma che non si può mai veramente conoscere , la Inconoscibile, la romaccia , mito antichissimo e insieme moderno, la Roma di Petrolini dallo sguardo lunare, Gastone, Nerone, lo scettico blu, ma anche l’ironico e sentimentale compagno di viaggio autore di una canzone che ancora oggi cantiamo volentieri tutti in coro…
Band : Tanto pe cantà


4.MARIANNA:

Signore e Signori, gentile pubblico, noi stasera siamo qui per uno spettacolo, e va tutto bene , non andiamo troppo per il sottile con la storia , la geografia e la filosofia, le simmetrie e le parabole , i triangoli rossi e neri , ecc. , ma per onestà intellettuale , come si dice in questi casi , dobbiamo e vogliamo chiederci chi era “realmente” Gioachino Belli , questo dottor Jekyll che improvvisamente scopre di avere dentro di sé una specie di Mr. Hyde plebeo , metà comico e metà tragico, pieno di livore, rancore e parolacce a go go , che sferza tutto e tutti con la frusta della sua satira feroce. Ricordiamo che il suddito Belli era un impiegato dello Stato Pontificio , un uomo timorato di Dio , tutto casa e chiesa , chiuso , introverso ,musone, pavido , tmoroso , un uomo che nei momenti cruciali delle grandi rivolte e delle guerre ( vedi ad esempio nel 1831, nel 1848, o nel 1859 ) brilla per… la fuga verso casa, dove si chiude a tripla mandata e si mette a letto con la febbre altissima , e per somma prudenza si astiene da tutto , perfino dallo scrivere versi , l’unica cosa che gli riesca di fare in modo positivo …. Per il resto , un uomo , ahimè, assolutamente mediocre , opportunista , arrivista , che sposa una ricca vedova senz’amore , al solo scopo di potersi garantire una vita agiata , e dedicarsi alla sua amata letteratura , all’ Arcadia , per sfornare opere come “Toeletta”, “Laude delle frittelle” , i “Salami di Pindo” , eccetera , opere con cui delizia i soci dell’Accademia Tiberina , firmandosi Tirteo Lacedemonio.. Ma in realtà quella vuota e inutile Accademia gli servirà per altre cose più pratiche , soprattutto , per fare conoscenze prezzolate , uno stuolo di conti marchesi e monsignori , abati e abatini , che gli saranno assai utili per ottenere quel comodo posticino statale di cui abbiamo accennato e poi per conservarlo , pur lavorando poco e male , e garantirsi una pensione per la vecchiaia. Ed è questo senso , a pensarci bene , che il Belli realizza il suo vero capolavoro. Nel settore pensionistico risulta infatti un vero artista , uno che probabilmente ha battuto tutti i record possibili , il guinness dei guinness.
State a sentire: ha avuto tre pensioni, lavorando, si fa per dire, una decina d’anni in tutto all’Ufficio del Bollo e del Registro, e la prima pensione - udite , udite! - gli fu data ad appena diciotto anni di età, dopo sedici mesi di servizio: altro che baby pensioni!...L’ultima a 56 anni , per malattia , dopo nemmeno tre mesi di servizio effettivo. Un uomo per bene, per carità, tutto letteratura chiesa , viaggi e …sesso .

E ciò grazie ai lasciapassare della generosa moglie Mariuccia, di tredici anni più anziana, che forse per tenerselo buono, gli toglieva tutti i capricci possibili: gli finanziava i costosi viaggi a Napoli, Genova, Venezia, Milano, per non parlare quelli interni allo Stato Pontificio ( almeno due all’anno ) nell’Umbria e nelle Marche, dove la moglie possedeva dei terreni. E tutto ciò sempre grazie ai beni di Mariuccia , che erano ingenti, e tuttavia non durarono molto all’assalto del vorace marito. E poi , la stessa Mariuccia , gli aveva fatto conoscere quella che sarebbe divenuta la sua amante e la sua musa , la frizzante marchesina marchigiana Vincenza Roberti, che era la figlia di una sua amica , e aveva ventidue anni meno di lei.
Insomma , Signore e Signori , siamo seri prima di parlare di un Belli alla Milton alla Byron , Belli “poeta maledetto” , o addirittura “moralista” , come è stato tratteggiato . Tucco ciò, francamente lascia alquanto perplessi, tenuto conto che tranne un breve periodo di cosiddetta presa di coscienza sociale e politica , derivatagli dalla sua visita a Milano , e presa di contatto con gli ambienti degli intellettuali milanesi , si dimostrerà per tutta la sua vita
sempre pigro, arrivista, codino, reazionario , antiprogressista , strenuo difensore del Papa , fino al punto da scrivere dei sonetti contro Giuseppe Mazzini e diventare , dopo il breve periodo della repubblica romana , bieco censore dello stato Pontificio : Metterà al bando il Macbeth di Sakespeare , il Rigoletto del Verdi , e tante altre opere di grandi illuministi. E le sue ultime opere saranno la traduzione delle preghiere della Beata Vergine e degli Inni Sacri .... E questo è lo stesso Belli che nella versione di un Mr. Hyde romanesco , aveva fatto ridere , ma era stato anche blasfemo e osceno la sua parte , tenuto conto che le cose che aveva saputo descrivere meglio di tutte , e con grande abbondanza di termini e particolari , sono gli organi sessuali maschili e femminili , che lui aveva chiamato rispettivamente : Il padre di tutti i Santi , e la Madre di tutte le Sante… Insomma, Signore e Signori, lo vogliamo dire , o no , chi era veramente Gioachino Belli ? …..

BAND: Leit motiv


5,AUTORE
Non voglio controbattere , perché questa non è la sede e soprattutto perché quel che conta in un autore sono le sue opere e non le sue piccole miserie umane, e queste opere - nonostante il suo sarcasmo, egregia signorina - ci dicono che Belli fu un grande poeta , un genio giustamente paragonato a un Goya , a un Boccaccio , a un Rabelais , un comico carnevalesco .
Uno dice Belli e dice i suoi sonetti , arte nella quale fu inarrivabile , invidiato perfino da uno come D’Annunzio, che lo riconosce come il più grande artefice della forma-sonetto della nostra letteratura, sono una festa liberatoria, l’abolizione di ogni gerarchia, la contestazione delle verità ufficiali, la maschera e il riso , il mondo alla rovescia, la parodia del sacro , l’ingiuria affettuosa, l’infrazione dei divieti verbali, le imprecazioni e gli spergiuri , il realismo grottesco l’iperbole oscena , il corpo come somma di protuberanze e orifizi, è vero, ma anche colui che dice la verità , che grida la verità sfacciata contro la tracotanza, l’ipocrisia e l’ottusità del potere , e qui la sua voce si fa grave , nel risentimento e nel sarcasmo, e il linguaggio si scrolla di dosso ogni ombra comica , si fa tragico , al pari di un Parini o Leopardi , come nell’affaticata figura del Ferraro, che conserva intera la sua attualità, anche ducento anni dopo, ai tempi nostri :


Pe mmantené mmi' mojje, du' sorelle,
E cquattro fijji io so c'a sta fuscina
Comincio co le stelle la matina
E ffinisco la sera co le stelle.
E cquanno ho mmesso a rrisico la pelle
E nnun m'arreggo ppiù ssopr'a la schina,
Cos'ho abbuscato? Ar zommo una trentina
De bbajocchi da empicce le bbudelle.
Eccolo er mi' discorzo, sor Vincenzo:
Quer chi ttanto e cchi ggnente è 'na commedia
Che mm'addanno oggni vorta che cce penzo.
Come!, io dico, tu ssudi er zangue tuo,
E ttratanto un Zovrano s'una ssedia
Co ddu' schizzi de penna è ttutto suo!




Uno dice Belli e dice Trastevere , ma dice anche Morrovalle , dove sta Cencia, la sua amante. Sì, anche lui , come Dante, come Petrarca, ebbe la sua Beatrice, la sua Laura. Si chiamava Vincenza Roberti , da lui chiamata “ Cencia” e fu la sua musa, a cui dedicò il suo “canzoniere amoroso” . Ma noi non vogliamo parlare di quello “ufficiale” , in lingua italiana , dove ci sono residuati arcadici, petrarchismi, marinismi derivati da Bernardo Tasso , dove c’è il ghigno di un Berni, l’empito del Monti, per non parlare dei prestiti di Properzio e di altri poeti latini ; no, noi parliamo di quella sorta di controcanto petrarchesco che la già ricordata marchesina Roberti fece esplodere in lui proprio quando sembrava che la sua stagione dovesse declinare in modo irreversibile, alla soglia dei quarant’anni. Siamo nell’estate del 1830 e Belli riscopre l’amore . Ed è una cosa tutta fisica, carnale, talora oscena , fatta di sangue e umori segreti portati al culmine , in cui l’ eros ha una voce volgare , plebea , una sonorita’ affannosa , come in un soffiare di sibilanti esse che s’avvolgono, s’ attorcono l’una nell’altra, come gli amanti nello spasmo d’amore:

che scenufreggi , sciupi, strusci e sciatti! /che sonajera d’inzeppate a secco!/ igni botta , peccrisse, annava ar lecco:/ soffiamio tutt’e dua come d’ gatti
e termina con un’eccitazione visionaria , degna delle migliori espressioni poetiche surrealiste dei poeti maledetti


e’ un gran gusto er frega’! ma pe godello

piu’ a ciccio , ce voria che diventassi

Giartruda tutta sorca , io tutt’ucello


Il gran merito di Cencia , dunque, fu quello di risvegliare in lui non solo i sensi e i sentimenti , ma anche quel formidabile cantore dialettale che minacciava di addormentarsi per sempre , senza aver scoperto la sua vera indole, la sua passione segreta , la sua vocazione , quella verso una città e il suo popolo, una tematica finita e infinita ….Dopo una visita a Morrovalle , nell’alcova dell’amante , che nel frattempo si è sposata con il dottor Pirozzi , un uomo di mondo , come direbbe Totò, che sa capire le situazioni e quindi non frappone ostacoli alla loro relazione sentimentale , il trentanovenne Belli esplode in una vera e a e propria furia creativa . E’ la fine dell’estate del 1830 , e in meno di un mese scrive cinquantanove sonetti , quasi tutti erotici, taluni davvero osceni . Li scrive in carrozza , da Morrovalle a Valcimara , al ponte della Trave, a Foligno, a Spoleto, a Strettita, a Terni, a Otricoli, Civita Castellana, Monterosi, Baccano, La Storta. “Vengo carico di versi da plebe, ne rideremo insieme scrive all’amico Francesco Spada. Nel secondo dei sonetti , A Nina , fortemente erotico, e abbastanza osceno , potrebbe configurarsi proprio la figura dell’amante , Vincenza Roberti, la sua “Cencia”...
Ma in realtà com’era Gioachino Belli come amatore ?. .. Sentiamo cosa dice l’interessata, Vincenza Roberti da Morrovalle, un paesino vicino Macerata , dove la marchesina viveva in un palazzo avito del XVI secolo , che ancora oggi ospita molti visitatori , probabilmente più per la curiosità di avere notizie sulla marchesina che per le sue qualità architettoniche , con la sua forma tozza , rozza, massiccia , incompiuta, una serie di finestre enormi , pesanti, con una leggera modanatura , e un unico grande pregio, un portale d’ingresso all’estrema destra di notevole pregio architettonico, da dove entrava e usciva la nostra marchesina Vincenza...Ma prego, Signora Marchesa….


6.CENCIA ( MARIANNA):
Ma cosa vuole che le dica?…Lei chiede a me com’era Belli come amatore , ma noi eravamo solo buoni amici , lo siamo stati per più di quarant’anni . Certo, ci volevamo bene, questo è vero , ma da amici …Ci si confidava un po’ tutto , ma la verità su di lui non è facile , la verità è che “Peppe” ( tutti lo chiamavamo così, Peppe e non Gioachino) era sconosciuto perfino a se stesso . Si tratta di un realtà intricatissima , fatta di contraddizioni, di ambiguità , di piccoli enigmi caratteriali… Peppe non era solo duplice, come ha detto qualcuno, ma molteplice….. Bisogna averlo conosciuto, come l’ho conosciuto io, per sapere che ci sono stati tanti Belli, a seconda delle stagioni . Quello ad esempio del 1821, quando lo vidi per la prima volta era un bel ragazzo, alto , magro, pallido, con un paio di baffi nerissimi , da intellettuale romantico, con ondate di capelli neri che gli coprivano quasi gli occhi, nerissimi, fiammeggianti , un naso pronunciato e una bocca carnosa ; insomma aveva fascino, era di modi gentili e declamava i propri versi con voce appassionata , uno che ci sapeva fare con le donne . Era la prima volta che venivo a Roma, al seguito di mia madre, la marchesa Marianna Betti , vedova Roberti , per sbrigare delle pratiche amministrative . Eravamo ospiti a Palazzo Poli , proprietà di una cara amica di mammà, Mariuccia Conti , che era stata la moglie del conte Pichi , e , dopo la sua scomparsa, aveva da poco aveva sposato un impiegato pontificio del Bollo e Registro, proprio la persona di cui noi avevamo bisogno per disbrigare le nostre pratiche . Peppe ci accompagnava in giro per i vari uffici , al mattino, e al pomeriggio ci faceva anche da cicerone . Ma Mammà si stancò presto e rimase a parlare con la Mariuccia dei loro vecchi tempi ( avevano la stessa età) , mentre io e Gioachino continuammo le nostre passeggiate romantiche a piazza di Spagna , dov’erano i frittellari e i popolani giocavano a morra nelle strade , ai Fori imperiali , al Colosseo , e a tutta quella parte di Roma che favorisce gli innamoramenti ….

BAND: ROMA NUN FA LA STUPIDA STASERA







7.AUTORE
Cencia aveva ventun’anni, Belli ventinove…La verità è che – la marchesina ovviamente non può ammetterlo - divennero amanti, con alti e bassi, come capita in tutte le relazioni sentimentali, anche quelle extraconiugali. Belli si recava a Morrovalle due volte l’anno e vi sostava anche un mese intero . Sospese le visite quando Cencia sposò , qualche anno dopo il dottor Pirozzi ; ma trascorso qualche tempo i due amanti ripresero a vedersi , perché il dottore era spesso fuori paese e si comportò sempre da marito discreto e liberale. Ma ci chiediamo. E Mariuccia ? , la buona Mariuccia che involontariamente gliela aveva messa tra le braccia , non sospettava proprio nulla? Era così candida, così ingenua la sua “Cicia” , a cui Gioachino scrisse centinaia di lettere per parlare , da perfetto ipocondriaco ed egoista qual era , solo dei suoi raffreddori , mal di testa , diete salassi , purghe , mignatte e vescicanti , ecc, oppure dei terreni , buoni fruttiferi e rendite catastali , senza mai dedicarle una frase d’amore , o un solo verso dei suoi cinquantamila e passa che compongono il suo commedione. Neppure da morta fu ricordata la povera Mariuccia, tant’è che non si sa nemmeno dove il marito l’abbia sepolta .
Ma com’era questa Mariuccia Conti , a cui Belli in fondo deve praticamente tutto e a cui nulla ha dato, tranne un figlio, Ciro, che venne su viziato, smidollato, pigro, nullafacente, neghittoso, vile, senza alcun ideale ,senza volontà, insomma assai peggio del padre?
Un ritratto ce la mostra elegante e perfino graziosa, con un volto arguto e dolce ad un tempo, animato da due grandi occhi bruni, pieni di espressione, ma era un ritratto a pagamento. I suoi biografi oscillano tra un’esaltazione della sua semplicità e la constatazione che se non è bella, è almeno di buon cuore , e per di più ricca e di spirito. Insomma non è certo una Venere, però è ricca, ha un carattere amabile , e le fa un po’ da madre , da moglie e da infermiera , a seconda della bisogna. Inoltre lo idolatra , lo ritiene il più grande poeta vivente e gioisce dei suoi trionfi letterari , e quando può lo lascia libero , vede tutto , e lascia correre , gli fornisce gli scudi necessari ( e sono tanti, più del doppio di quelli che lui percepisce dallo Stato ) per i suoi viaggi annuali e per i suoi sfoghi sessuali. Una moglie perfetta per lui, una vera manna caduta dal cielo, in tutti i sensi. Dalla cella dei “Cappuccini” , o dalla fetida stanzetta della zia Marietta, dove il giovane Belli alloggiava , era andato a Palazzo Poli, in un lussuoso alloggio , con tutti i conforti e la servitù, nello stesso stabile dove abita la principessa Zenaide Wlkonskkj nel cui saloto egli conoscerà le più eminenti personalità europee, Viazemsky e Gogol . Sedici sale , una grande galleria di ingresso , lo scalone d’onore , la stanza del biliardo con ben 47 dipinti , consoles, cantoniere, bureaux, maggiolini statue, tendaggi , perfino le porte sono laccate in perla e oro , e i servi hanno una livrea talmente lussuosa da destare stupore, c’è un capo dei domestici, un maggiordomo, come nelle famiglie dei cardinali.

Abbiti , argenterie, casa a palazzo, carrozze, servitù, pranzi in campagna…Lui vede tutto e nun dimmanna un cazzo . La previdenza vie’? lui l’ariceve . Er camminuccio fuma ? e quello magna. La fontanella butta? E quello beve.



Insomma, qualche rimorso di coscienza, ce l’aveva, di tanto in tanto, il nostro Gioachino. Ma c’è da dire , a sua scusante , che aveva passato un’infanzia e un’adolescenza davvero difficili e miserabili , vero Signora Marchesa?.


8.CENCIA (MARIANNA)
Sì, è vero. Il padre di Gioachino , Gaudenzio, è lungo giallo cupo gretto, tirchio, di vedute ristrettezze, severissimo nei confronti dei figli, a cui non fa mai una carezza , un gesto affettuoso , non dice una parola buona , gentile ; la madre , al contrario, è molto bella , una napoletana tutta luce, calore, espansività. Ma Gioachino da lei prenderà molto poco, è introverso , sempre immusonito, ingrugnato, scontento, con una dose eccessiva di orgoglio e amor proprio, ed è anche un po’ presuntuoso, dato che ritiene la propria opinione come la migliore di tutti. Ma è di una grande sensibilità e immaginazione , un osservatore attento, finissimo, spietato, fin da piccolo, è precocissimo e già nutre le proprie malinconie, come fanno tutti i poeti . Lo pervade anche un torvo senso di insicurezza , e una totale sfiducia negli uomini, che lo accompagnerà per il resto della sua vita. Quando era appena un ragazzino di sette anni, capitò che l’avarissimo padre Gaudenzio smarrisse in casa un baiocco di rame ( l’equivalente di cinque centesimi di euro) e allora esperì delle indagini in famiglia per scoprire il colpevole: la moglie, la bellissima Luigina , Carlo, il fratello minore di Gioachino e lo stesso Gioachino. Flaminia , la più piccola della famiglia, non era ancora nata. Era accaduto che il piccolo Gioachino il baiocco l’aveva effettivamente trovato , il giorno prima , e l’aveva riposto da qualche parte. Messo alle strette il bambino confessò. “ Sì, sono stato io”. Il padre, a questa ammissione non ci vide più e cominciò a urlare come un ossesso che aveva allevato un ladro, un figlio ingrato, un mostro…Mentre lui si macerava sui libri mastri, il figlio maggiore ( il bambino aveva sette anni e quasi non respirava più per la paura) lo derubava. La casa dei Belli era in via dei Redentoristi, ma riescono a sentirlo fino all’Argentina. A questo punto , Gioachino, con la sua ipersensibilità, si vede già squartato da Mastro Titta , il boia, che ha visto in azione proprio pochi giorni prima , sulla pubblica piazza , mentre mazzolava e squartava un povero Cristo, un certo Marco Rossi , solo per una questione di corna in famiglia.
Gaudenzio stabilisce che il figlio debba restare chiuso tre giorni in una camera oscura, col trattamento di pane e acqua. Al momento della liberazione, il bambino viene condotto nella sala grande, dove tutti i parenti sono riuniti. “ Sei un ladro”, dice Gaudenzio a suo figlio , davanti a tutti. E lui , alla gogna, si batte il petto e dice: Sì, sono un ladro. Poi prende il baiocco e , in ginocchio, fa il giro della sala e chiede scusa a tutti i presenti. “Non lo farò mai più”.

9. AUTORE
E’ un trauma terribile e crudele che lascerà un segno indelebile nella psiche del poeta , e anche un oscuro sentimento di rancore verso il padre , un qualcosa di acre che lo accompagnerà sempre ; e non a caso la sola volta che si ricorderà del padre , nella sua sterminata produzione in versi , lo farà in modo da penderlo in giro. Il padre sarà da lui visto come una sorta di Abramo che sacrifica il figlio

Doppo fatta un boccon de colazzione
Partirno tutt'e quattro a giorno chiaro,
E camminorno sempre in orazzione
Pe quarche mijo ppiù der centinaro.
"Semo arrivati: alò", disse er vecchione,
"Incollete er fascetto, fijo caro":
Poi, vortannose in là, fece ar garzone:
"Aspettateme qui voi cor zomaro".
Saliva Isacco, e diceva: "Papà,
Ma diteme, la vittima indov'è ?"
E lui j'arisponneva: "Un po' ppiù in là".
Ma quanno finarmente furno sù,
Strillò Abbramo ar fijolo: "Isacco, a tte,
Faccia a tterra: la vittima sei tu".


Dopo alterne vicende , legate sia a rivolgimenti politici ( siamo nel periodo napoleonico) , sia alla leggendaria avvenenza della madre d Gioachino , che ha intorno a sé sempre diversi spasimanti , la famiglia Belli si sistema a Civitavecchia dove Gaudenzio ha un onorevole incarico tra il direttore della dogana e capo dei servizi commerciali. Fa delle speculazioni vantaggiose, si arricchisce, le cose sembrano andar bene , acquista anche una piccola flotta , e il piccolo Gioachino sogna un viaggio su una delle sue navi , ma le sue speranze vengono deluse. E subito dopo scoppia il colera , in cui perderà la vita il padre e verranno ridotti al dissesto finanziario. Tornano a Roma, con la madre incinta ( il fratellino di Gioachino, Antonio Pietro, vivrà solo per pochi giorni) , in una casa angusta e desolata in via del corso 391, da cui il Belli trarrà lo spunto per la celebre La famija poverella, dove s’avverte una risonanza di temi danteschi, in particolare del canto del conte Ugolino:

Si capissimo er bene che ve vojo ! / Che dichi, Peppe? Nun voi stà a lo scuro ?/ Fijo , com’ho da fa si nun ce ojo? / E tu, Lalla, che hai? Povera Lalla,/ hai freddo? Ebbè, nun mèttete lì ar muro:/ viè in braccio a mamma tua che t’ariscalla…

10.CENCIA (MARIANNA)
Gioachino ha tredici anni e si tuffa nello studio, capisce che il latino la filosofia la poetica e l’oratoria , gli studi che compie al collegio romano, non sono costrizioni ma strade fiorite per l’avvenire che sogna, diventare poeta. Sui quindici anni , coi caratteri più appariscenti del Poliziano e del Tasso comincia a scrivere i primi versi. Si applica forsennatamente allo studio con tutti i mezzi e ogni sacrificio , e riesce a primeggiare in quasi tutte le materie. Ma come sempre capita i successi gli alienano le simpatie dei compagni, e gli stessi insegnanti gli diventano nemici, così si inasprisce , il suo carattere si fa indocile e turbolento, pronto ad obbedire alle sollecitazioni dell’affetto, e ribelle invece di fronte alle minacce e al rigore.
Nel frattempo la madre si risposa con un ragazzo molto più giovane di lei, Michele Mitterpoch, ha poco più di vent’anni, lei trentacinque. E’ figlio di un pasticcere e abita nella medesima casa . Gioachino si sente tradito e umiliato da questo matrimonio , fugge di casa, e se ne va a zonzo per tutto il giorno sul Tevere, si rifugia sotto il ponte Rotto , dove vede i barcaroli che sciamano lungo il fiume. E assiste , col cuore in subbuglio , sconvolto , pieno di pietà e orrore , al ritrovamento di un cadavere affogato da parte di un barcarolo romano: si tratta di una giovane donna…


BAND: ER BARCAROLO

11,AUTORE:
Belli scrive la sua prima poesia in romanesco a ventisei anni , è domenica, 23 febbraio 1817 , sono le 17,30. Lo annota lui stesso . Era un maniaco, annotava tutto , anche i centesimi che spendeva per acquistare le caldarroste. La poesia è intitolata “Alla Sora Ninetta” , la madre del suo fraterno amico Francesco “Checco” Spada, e non ha nessun pregio , ma è una sorta di incipit del famoso Commedione.Gli ci vorranno più di dieci anni , per scrivere ancora in romanesco , e la svolta decisiva sarà la conoscenza del Porta, delle opere del Porta , che elevano il dialetto alla stessa dignità della lingua italiana. Da Milano torna a Roma un altro Belli , con una rivelazione... E’ come se vedesse Roma per la prima volta , nuova diversa viva sanguigna.
In quel periodo di trasformazione, metamorfosi , Belli annota nel suo zibaldone un pensiero d’Erbigny : qualunque strepito possa farsi in un impero, esso non è mai così pericolosa quanto il silenzio dei preti. E’ un Belli decisamente nuovo, estremista, libertario , in linea con Stendhal, Heine, Tommaseo, Poerio, cioè le punte più avanzate della cultura europea . Intanto aveva lasciato l’Accademia Tiberina e aveva fondato una società di lettura insieme ad un gruppo di amici , andava nelle osterie, prendeva appunti, parlava il più possibile con la plebe, si era messo all’ascolto delle loro problematiche , ne aveva studiato il linguaggio, la parola , essenzialmente orale , era diventato quasi senza accorgersene come “diabolus in ecclesia “ , nella sua città, e diabolica era quella voce viscerale che saliva a scuotere il benpensante timorato di dio , il non eroico impiegato. Era la Roma sboccata e oscena dei suoi sonetti più arditi, “ scastagnamo ar parlà, ma aramo dritto, dirà per giustificarsi , traducendo il motto di Ausonio : lasciva nobis pagina, vita proba. Quasi senza accorgersene era divenuto la voce segreta di un popolo
D’ora in poi i suoi personaggi non saranno più soltanto abati e abatini, nobili e grassi borghesi, ma saranno , in presa diretta , quelli elencati in una lettera all’amico Giovambattista Mambor: Caterina la guercia, Rosa ficamoscia, Nunziatella de li sordati, la Cicoriara de ponte Rotto, la Peracottara de li paini, la fija zitella de Salataccia, Tribuzzia la sediaria der catichismo, Menica la bagarinella de Mercato, Nanna quattrochiappe. E poi lo Stracciaroletto de Borgo, Gurgumella, Panzella, Rinzo,Chiodo,Roscio, Cacaritto,Puntatacchi, Deograzzia ,Bebberebbè, er Cecchetto de le quanrantora , Feliscetto der mannolino, Giartruda Ciancarella, la moje der froscio...
E tanti , tantissimi altri personaggi dei suoi sonetti, del “Commedione”, personaggi che ritroviamo sempre nella tradizione romanesca delle poesie e delle canzoni , fino ai tempi nostri, con le loro storie d’amore, le gelosie, le tragedie, Lella , la moje der cravattaro.
BAND: LELLA


12,MARIANNA:
La verità è che Belli si mette la maschera per sputare il proprio veleno, come una vecchia vipera rancorosa e vendicativa . Belli crea apposta una lingua nuova , senza memoria, al solo scopo di poter palesare le proprie insoddisfazioni , la propria scontentezza , perché non riesce a pervenire a nessun risultato sperato . In termini di lingua italiana, rimarrà il modesto, mediocre poeta accademico, arcadico … Intanto è invecchiato precocemente , magro pallido emaciato col viso grommoso, in cui gli si legge il suo senso d’insoddisfazione a lungo repressa, che pesa in tutta la sua vita . Non cerca simpatie, partecipazioni o solidarietà dal mondo che rappresenta . Ma in fondo perché rappresentare quella gente sconcia e analfabeta , una plebe sguaiata , lercia, affamata? A che cosa gli sarebbe giovato? Infatti rimane clandestino e firma le sue poesie con il nomignolo di Peppe er tosto . Rifugge da ogni identificazione, da ogni riconoscimento di sé , da ogni affermazione di valori individuali o collettivi. La sua letteratura non è quella del Porta , lui non cerca nessun ideale , nessuna illusione, Aveva pensato di pubblicarle queste poesie clandestine, - Ne rideremo insieme , aveva detto all’amico Checco Spada, - e quelle risa ci varranno a prepararci l’animo alle possibili sciagure che ci minacciano. Tutti i grandi lo avevano incoraggiato , da Gogol a Saint Beuve. Aveva preparato anche l’introduzione , sembrava una cosa fatta. Ma poi ci aveva ripensato , era sopraggiunto il vecchio timore tipicamente belliano: non è un cuor di leone, lo sappiamo Anzi, è tutto e il contrario. E allora prende l’antidoto e ritorna il dottor Jekill . Anzi, li vorrebbe bruciare, quei sonetti , lo mette nel suo testamento , e quando s’affaccia il colera a Roma , nel 1837 , brucia le minute . Ma gli originali li affida a monsignor Tizzani , un prelato illuminato, amico e protettore nell’età matura
Aveva fondato una società di lettura, che era anche luogo di aggiornamento e di dibattito, era la nuova accademia di trastevere , l’aula un’ osteria , la lezione gliela impartiva il popolo, perché


Certe cose la ggente ricamata
Nun le capissce e ffra noantri soli
Sé po’ trovà la verità sfacciata



Ma ora , ora sconfessava tutto, aboliva l’università delle osterie e rientrava nella sua vecchia polverosa accademia tiberina , anzi ne diveniva il segretario, poi il vice presidente , infine il presidente. Gioachino rientrava in sé, in quello che era sempre stato , codino, reazionario, bacchettone . Ma dietro c’era qualcosa.
Qual è la verità ? Che cos’è la verità? , dov’è la verità ? , com’è la verità?


La verità è comm'è lla cacarella,
che cquanno te viè ll'impito e te scappa,
hai tempo, fijjia, de serrà lla chiappa,
e storcete e ttremà ppe rritenella.
E accusì, ssi la bbocca nun z'attappa,
la Santa Verità sbrodolarella
t'esce fora da sé dda le bbudella,
fussi tu ppuro un frate de la Trappa.
Perché ss'ha da stà zziti, o ddì una miffa
Oggni cuarvorta so le cose vere?
No: a ttemp'e lloco d'aggriffa s'aggriffa.
Le bbocche nostre iddio le vò sincere,
e ll'ommini je metteno l'abbiffa?
No: sempre verità; sempre er dovere.

13.AUTORE
Uno dice Giuseppe Gioachino Belli e rivede il suo arcigno monumento a Trastevere di Michele Tripisciano, a cui si è ispirato il nostro Giacomo Lombardozzi. Belli con la tuba, il bastone l’atteggiamento del borghese in una roma senza borghesia. Uno dice Belli e rivede la città morta dove li cardinali ce stanno ariccorti cor barbozzo inchiodato sur breviario , come tanti cadaveri de morti , e nun ve danno più segno de vita sin che nun je se accosta er caudatario a dije¨ “Emintentessimo , è finita”.
Rivede la roma deserto , roccaforte dell’oscuramento, caposaldo dei privilegi e delle ipocrisie secolari , ma anche , la Roma festaiola , che fa bisboccia ad ogni occasione, la Roma de io le so certe cose, io so romano, la Roma de che ppe grazzia de dio noi semo romani, la Roma de passamo noi, la Roma de che
ce frega e che ce ‘mporta , la Roma dei magnaccioni, la Roma de Nannì e de le gite a li castelli.

BAND: Nannì , na gita a li castelli



14.MARIANNA
Per Belli il vento è cambiato. Mariuccia è morta , il suo patrimonio dissestato , e dietro la bara e il cadavere ancora caldo, ci sono in fila i creditori. E lui senza i beni della moglie è un uomo disperato, finito, altro che viaggi, altro che vacatio nelle osterie . Se se ne va rapidamente in miseria , è costretto a lasciare la lussuosa casa della moglie e andare a vivere in un misero buio appartamento , in affitto . Ma nonostante le ristrettezze non ce la fa , chiede aiuto agli amici. Chiede , ed è questa la terza volta, di essere riassunto dallo stato pontificio . Beneficia già di due pensioni, senza aver praticamente mai lavorato seriamente, ma non gli bastano. Viene riassunto , e dopo un paio d’anni , è di nuovo in pensione , avendo lavorato un paio di mesi in tutto . Finalmente si gode la terza pensione, e i 38 scudi, che gli consentono di vivere decorosamente. Siamo nel 1849 a Roma ci stanno i rivoluzionari, è il periodo della Repubblica , Belli si tappa in casa come al solito , in attesa di tempi migliori . E tuttavia non si farà scrupolo di chiedere a Mazzini ( che lo apprezzava per la poesia antipapalina “vita da cane” , e credeva che fosse uno dei suoi seguaci ) l’esonero del figlio Ciro dal servizio militare obbligatorio. Come vedete il tengo famiglia di Flaiano c’è sempre stato, non è vero professore Gnoli ?, lei che ha conosciuto bene il Belli e ne ha scritto la prima biografia, ci può dire qual era la vera voce di Gioachino Belli?

15.DOMENICO GNOLI ( EZIO)
Era la voce di un uomo il cui nome e i cui versi erano noti a tutta Roma, che riguardavamo come una gloria nostra, una voce che rallegrava gli altri senza aver modo di rallegrar se stesso. Spesso mi diceva : “ Caro Mimmo, conosco il tasto dell’ilarità , tocco quello ed esso fa l’ufficio suo, io rimango intanto freddo e malinconico”. Era ben infelice il suo stato , poiché fanaticamente devoto dell’altare e del trono, non poteva aprire bocca senza che un allegro stormo di sonetti fuggitigli dal nido gli svolazzassero intorno, ridendogli sul viso e canzonandolo ; erano gli audaci araldi di idee dalle quali allora aborriva

MARIANNA: A proposito , professore , ci può dire come recitava i suoi sonetti il poeta?


Ci si trovava spesso in casa di Monsignor Bonaparte, la sera, e dopo il caffè. E tutti chiedevamo al poeta di recitare i suoi sonetti proibiti. Lui si faceva un po’ pregare, ma alla fine accettava. Si metteva in capo un berrettino di seta nera , che durante la declamazione si rigirava sul cranio calvo .La sua voce era alquanto sommessa, con espressivo spianare e aggrottare di ciglia, col più puro dialetto trasteverino, e certe gradazioni di voce e inflessioni finissime , pigliavano un colore che, recitati o letti, non avranno mai più. Non era possibile non smascellarsi dalle risa , soprattutto per la serietà a cui atteggiava il suo volto sbarbato sul quale invano avresti aspettato un sorriso . E quei versi che declamava quasi a ritegno , come ad esempio “ Il papa non fa niente”, non c’era verso di farglieli ripetere una seconda volta… (Sottofondo musicale)
…Lo ricordo come fosse adesso, povero Belli, con quella ipocondria che gli grommava giù dalla faccia , con quel suo fare da misantropo , a fronte alta, la faccia lunga e piuttosto gialla che pallida , i movimenti penosi , come d’uomo che abbia il freddo nelle ossa , lenti e arguti gli occhi , e la voce, chiuso il collo dal suo cravattone nero . E gli crescerà vieppiù quel freddo nelle ossa , povero Belli , con una serie di lutti che non gli danno tregua. Gli muoiono uno dopo l’ altro le persone più care, il nipotino diletto , la giovane nuora Cristina , gli amici Biagini e Ferretti , che erano per lui come fratelli. E si deve occupare del figlio Ciro , che dopo la morte della moglie, rimane come svuotato, inebetito, depresso , incapace di fare qualsiasi cosa, e lui , ormai vecchio e mlandato, è costretto a prendersene cura e occuparsi anche dei tre nipoti . Quel freddo nelle ossa lo sentirà sempre , non riuscirà più a scaldarsi, povero Belli…

16.AUTORE
Già, il freddo nelle ossa . Forse gli veniva forse dalla memoria , quel freddo nelle ossa, dagli strati più profondi della coscienza , era il brivido della sua parola poetica , anch’essa cifrata all’insegna di un ‘enigma .Muore per un colpo apoplettico, mentre i tre nipotini , nella stanza accanto, stanno giocando. Lo trovano caduto a terra, esanime. Giacomo, il nipote più grande, va a chiamare il parroco, poi la cugina, la bella Orsola Mazio, che gli sarà di gran conforto , in quegli ultimi supremi istanti….Tutte le sue donne sono lontane, perdute in una dimensione favolosa. Mariuccia nei freddi regni della morte, Cencia nelle Marche, l’ultima in ordine di tempo, l’attrice Amalia Bettini si è sposata e vive a Bologna , e l’adorata nuora, Cristina, acnh’essa se ne è andata nel regno freddo della morte a soli trentasette anni. Solo Orsola si china su di lui e lo bacia sulla fronte. Gioachino , a quel contatto, apre gli occhi e sorride . Ora può andare , con quel viatico è meno triste partire. Quando viene il figlio, Ciro, è troppo tardi. (Sottofondo musicale)
Alle otto e trenta della sera del 21 dicembre 1863, esattamente 145 anni fa , il cantore della plebe di Roma va a raggiungere i suoi papi che ha satireggiato, e la sterminata teoria di principi e plebei fermati in eterno dalla sua penna. La sua salma viene portata al Verano, e posta in un loculo sul muro di cinta , a destra dell’ingresso principale. Solo 40 anni dopo i suoi resti verranno esumati e deposti al PIncetto nella tomba di famiglia. Checco Spada detta la frase per la funebre lapide latina .

“Qui giace Giuseppe Gioachino Belli , romano , esemplare nella pietà , integro nei costumi , aspro nell’ingegno . Eccelse nella poesia più varia , divertendo e, insieme, ammonendo”.

PRESENTAZIONE AL PUBBLICO DEGLI INTERPRETI


IN CORO: MA CHI ERA GIOACHINO BELLI ?.....

GINGLE

venerdì 28 novembre 2008

Primo Levi: Se questo è un uomo


1. Ne “I sommersi e i salvati”, ultimo libro di Primo Levi , che è stato riproposto da Einaudi in un nuova edizione , presentata al Massimo di Torino , con lettura di alcuni brani di Moni Ovadia, lo scrittore connota la conoscenza del tedesco come ciò che separava la vita dalla morte nel Lager. “Sapere il tedesco significava la vita.” Ma anche l’essere un valente chimico contribuì a salvarlo e a farlo entrare nel “Commando 98 di Chimica” anziché nel forno crematorio. E tuttavia sarà Dante con il Canto di Ulisse, uno dei più struggenti capitoli di “Se questo è un uomo”, a restituirgli il senso vivo dell’umanità solidarietà , della bellezza, l’amore per il sapere e la nostalgia per la casa natìa. E sarà la stessa figura omerica-dantesca di Ulisse che riemergerà dopo molti anni ( espresse il desiderio che fossero scolpite in greco sulla sua lapide le parole “pollà plankte” che definiscono l’eroe e la sua voglia di andare per il mondo ) , nella circostanza della sua tragica morte, avvenuta per suicidio ( si gettò nella tromba della scala del palazzo dove era nato e vissuto ) vent’anni fa, l’11 aprile 1987 , scomparsa che è stata ricordata con una serie di manifestazioni teatrali, radiofoniche, museali e perfino con un ‘opera lirica, “Passio”, del compositore spagnolo Luis de Pablo, che è stata eseguita in prima
mondiale dal maestro Gianandrea Noseda , “-… una musica che rispecchia fedelmente lo stile asciutto e distaccato, ma non scevro da tinte impressioniste di Levi... Una riflessione sull’umanità destinata a soffrire senza ragione , una musica intensa, di grande impatto emotivo , ma non di facile intesa”- presso l’Auditorium Rai di Torino , città in cui Levi era nato la sera del 31 luglio 1919. da un’agiata famiglia di ebrei piemontesi di solide tradizioni intellettuali.
Il padre, l’ing. Cesare , uomo vivo e vitale, straordinariamente versatile, estroverso , esuberante, è esattamente l’opposto di Primo , che è introverso, timido, di gracile costituzione fisica e di una sensibilità tutta particolare, e avverte nei confronti del vigoroso padre una costante soggezione , che si colora talvolta di paura e di ombrosi risentimenti. L’impossibilità di avere un rapporto di confidenza con il padre accentua la sua introversione, tende sempre più ad isolarsi, a vivere in un mondo tutto suo, carico di tensioni e di paura.

2.Fondamentale sarà per lui , in questa fase delicata dell’adolescenza , il vincolo affettivo che lo lega alla sorella che lo aiuta a superare l’ostacolo e le difficoltà del suo isolamento. Studia presso il ginnasio-liceo D’Azeglio e ha , per qualche mese , Cesare Pavese come insegnante di lettere. All’esame di maturità viene rimandato con tre in italiano. Non riesce a scrivere nulla sul componimento assegnato che ha per tema “La guerra in Spagna”. Consegna il foglio in bianco. Nel 1937 si iscrive alla facoltà chimica dell’Università di Torino , dove si afferma ben presto come il migliore del suo corso e consegue la laurea nel 1941 summa cum laude. Esercita subito la professione di chimico in condizioni di semiclandestinità (fin dall’ottobre del 1938 era stata emanata la “carta della razza”, una serie di provvedimenti legislativi e amministrativi anti-ebraici) , in una cava d’amianto a Balangero presso l’industria Wander di Milano. L’8 settembre 1943 lascia l’impiego e si trasferisce in Val d’Aosta , sopra Saint Vincent, dove viene in contatto con altri giovani appartenenti al movimento “Giustizia e Libertà”. Sono in otto, sprovvisti di mezzi e di armi , senza nessuna esperienza militare. Hanno solo esuberanza ed entusiasmo giovanile. Il 13 dicembre vengono catturati e portati ad Aosta , dove saranno sottoposti a interrogatori e maltrattamenti. Dopo due mesi di prigionia Levi ammette di essere cittadino italiano di razza ebraica e viene così inviato a Fossoli , presso Modena, campo di raccolta degli ebrei.


3.Il 22 febbraio 1944, insieme ad altri seicentoquarantanove compagni di sventura , viene deportato ad Auschwitz. Soltanto tre di essi, compreso l’autore di “Se questo è un uomo”, sopravvivranno al Lager. E lo stesso Levi dirà paradossalmente che “ è stato il
lager a rendermi forte; l’ossatura morale mi è venuta dopo, dopo di aver raccontato e scritto , dopo di essermi sentito depositario di un’esperienza orribile e fondamentale, che era necessario diffondere e commentare. Solo dopo che l’umanità mi era stata negata , e dopo averla conquistata scrivendo, mi sono sentito uomo nel senso del libro”
Ma non è vero: Levi riuscirà a sopravvivere all’inferno del Lager grazie alla sua forza morale e di carattere , alla sua profonda maturità, alla sua intelligenza , alla sua coerenza interiore, ma soprattutto – come abbiamo detto - furono gli studi di chimica e la conoscenza del tedesco a salvargli la vita e a farlo diventare il massimo scrittore – testimone del XX secolo, ad iniziare dal suo primo libro, che Levi comincia a scrivere subito dopo la deportazione , al ritorno a Torino, ( siamo alla fine del 1945 ) . Ma quei ricordi di prigionia non interessano nessuna delle grandi case editrici , né Natalia Ginzburg, che lavora per Einaudi, a cui Levi si rivolge. Sarà il piccolo editore Silva a pubblicare “Se questo è un uomo” in 2500 copie , in gran parte invendute. Ma se il libro non venisse stampato , Levi lo narrerebbe , lo urlerebbe per le strade , tale è il suo stato d’animo, l’esigenza di raccontare quanto ha visto e vissuto, rendere partecipi gli altri, attaccar discorsi, costringere i suoi interlocutori ad ascoltare, a prendere atto delle tragiche allucinanti avventure nelle quali è incorso.

4.“L’idea di dover sopravvivere per raccontare quanto avevo visto mi aveva ossessionato giorno e notte , per cui posso affermare che il libro è nato nel Lager “, dirà lo scrittore. Ma il successo come tale lo otterrà solo dieci anni dopo, quando , in occasione di una sua conferenza a Palazzo Carignano sulla deportazione e le atrocità dei Lager , l’editore Einaudi decide di pubblicare il libro , che esce contemporaneamente al “Diario di Anna Frank”. Ed è subito un successo straordinario. Il libro viene tradotto in moltissime lingue e ottiene vari riconoscimenti internazionali. Nella sola Germania se ne vendono cinquanta mila copie in tre mesi. “Io non credo – scrive Levi al traduttore della lingua tedesca Heinz Riedt – che la vita dell’uomo abbia uno scopo definito; ma se penso alla mia vita, agli scopi che finora mi sono prefissi,uno solo ne riconosco ben preciso e cosciente, ed è proprio questo, di portare testimonianza, di far udire la mia voce al popolo tedesco , di rispondere al Kapo che si è pulito la mano sulla mia spalla , al dottor Pannwitz, a quelli che impiccarono Ultimo e ai loro eredi…”. Si tratta di personaggi reali che ritroviamo nel suo capolavoro, nato dall’insopprimibile esigenza etica, dall’urgenza e dalla necessità di un obbligo morale, di rendere consapevoli i contemporanei, attraverso la propria testimonianza diretta, di una delle massime atrocità che gli uomini potessero compiere nei riguardi dei loro simili: l’attuazione dei campi di sterminio. Ma il libro nasce anche dalla volontà di cercare di comprendere - “…non posso dire di capire i tedeschi e qualcosa che non si può capire costituisce un vuoto doloroso, una puntura, uno stimolo permanente che chiede di essere soddisfatto – e dalla sua passione del ricordare, che sono doti tipicamente ebraiche. Egli aveva una tale dimensione della memoria, che è anche “trasmissione di una lingua remota dei padri, sacra e solenne, geologica, levigata dai millenni come l’alveo dei ghiacciai”, che lo portava in qualche modo sempre e comunque all’inevitabile missione della testimonianza e della profezia.


5.Ricordare, ricordare per sé e per gli altri compagni innocenti massacrati ; insegnare a tutti come si ricorda, come non si dimentica, come non si deve dimenticare e cercare di studiare e di capire l’uomo: come possa egli, l’uomo degradarsi al più basso livello morale della sua storia, facendo dello sterminio gratuito, della tortura scientifica , dell’abbrutimento dei suoi simili la propria prassi e il proprio ideale. Che cosa ha trasformato quegli uomini in belve? Gli aguzzini del Lager “erano della nostra stessa stoffa, esseri medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi…ma erano educati al male” .
Dunque , individui non diversi da tanti altri , non diversi , forse, da noi, trasformati in spietati carnefici. Per pigrizia mentale, per miope calcolo, per stupidità , per orgoglio nazionale, perché ” erano educati al male”? Ma chi li ha educati al male, e perchè ? “A molti individui o popoli – scrive Levi - può accadere di ritenere , più o meno consapevolmente , che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un ‘ infezione latente…” Ed è su questa infezione latente - che alberga (purtroppo) in ognuno di noi e può manifestarsi in qualunque momento in atti saltuari e incoordinati verso coloro che vediamo come “ stranieri”, o “ diversi”, che dovremmo ancora oggi riflettere, visto quello che si è ripetuto e continua a ripetersi nel mondo anche ora.

6.Levi non è diventato nichilista , né manicheista , si è fatto carico di un giudizio di valori, senza mai perdere di vista la distinzione insormontabile che esiste tra Bene e Male, ma non si è trasformato in rigido moralista ; è riuscito a mantenersi in equilibrio , non idealizzando le vittime e non demonizzando i carnefici , e lo ha fatto attraverso il continuo studio e l’analisi di alcuni aspetti dell’animo umano , ha tracciato una via obliqua verso una nuova dignità , “una cote su cui affilare il cuore e la mente , un crogiolo di purificazione , ma tenuta quasi segreta per evitare ogni retorica. E lo ha fatto con una scrittura che fosse chiara , semplice , perfettamente lucida - “ una scrittura che deve servire a comunicare , a trasmettere informazioni o sentimenti da mente a mente , perché questo è il compito di chi scrive . Se si scrive in modo oscuro, col solo linguaggio del cuore , non si viene capiti da nessuno e non si trasmette nulla, si grida solo nel deserto”. Ed ecco dopo la discesa agli inferi di “Se questo è un uomo “ , “La tregua” , il libro-odissea , il libro del ritorno, inteso come travaglio interiore , lotta contro le memorie , resurrezione alla vita , dove gli episodi , i personaggi, gli incontri, le stesse tappe del viaggio stanno ad illustrare , in chiave emblematica , i momenti cruciali di quel doloroso itinerario che è appunto il recupero dell’io , della propria integrità umana , calpestata e avvilita dalle tremende ferite che Levi ha dovuto subire. “La Tregua “ è anche una salita verso una liberazione che si mostrerà illusoria .

7.“ La libertà , l’improbabile , impossibile libertà , così lontana da Auschwitz che solo nei sogni osavamo sperarla, era giunta; ma non ci aveva portato alla “Terra Promessa. Era intorno a noi, ma sotto forma di una spietata pianura deserta. Ci aspettavano altre prove, altre fatiche , altre fami, altri geli, altre paure” E tutti i suoi libri successivi, fino all’ultimo, “I sommersi e i salvati” , conserveranno quel linguaggio “ chiaro , essenziale , comprensibile a tutti, come le elaborazioni chimiche che hanno una lunga ombra simbolica del ridurre , concentrare, distillare , cristallizzare , “una lunga arringa , - scrive Tzvetan Tudorov , - di chi rifiuta le risposte facili basati su esami frettolosi . Levi non si accontenta di rievocare gli orrori del passato , ma si interroga a lungo e con pazienza sui significati che tali orrori hanno oggi per noi. Sa che le passioni e i comportamenti umani non cambiano mai radicalmente e la storia si ripete; ed è proprio in questo atteggiamento verso il passato che sta la sua lezione più preziosa. Che uomini come Levi abbiano camminato su questa terra , che siano sfuggiti all’insidiosa penetrazione del male che sapevano così bene descrivere , è fonte di incoraggiamento per il lettore di questo libro, comunque sprofondato negli abissi della miseria e nella malinconia . Levi non ce l’ha fatta a sostenere il peso dei ricordi, “ che giacciono in noi e sono incisi sulla pietra” , e che diventeranno man mano talmente ossessivi in lui fino a condurlo all’estrema tragica disperazione del gesto fatale perché sempre, al “superstite” del Lager “ad ora incerta,/quella pena ritorna,/e se non trova chi lo ascolti/ gli brucia in petto il cuore./Rivede i visi dei suoi compagni/lividi nella prima luce,/grigi di polvere di cemento,/indistinti per nebbia,/tinti di morte nei sonni inquieti…. "Indietro, via di qui, gente sommersa,/Andate. Non ho soppiantato nessuno, /non ho usurpato il pane di nessuno,/nessuno è morto in vece mia. Nessuno./Ritornate alla vostra nebbia./Non è colpa mia se vivo e respiro. E mangio e bevo e dormo e vesto panni".
Sarà quest’angoscia senza sosta e senza fine che lo porterà al suicidio, gettandosi nella tromba delle scale della sua casa paterna di Torino, dopo aver salutato e ringraziato con un sorriso gentile la portinaia che gli portava la posta e aver lasciato un ultimo messaggio: “Non dimenticate”...