venerdì 28 novembre 2008

Primo Levi: Se questo è un uomo


1. Ne “I sommersi e i salvati”, ultimo libro di Primo Levi , che è stato riproposto da Einaudi in un nuova edizione , presentata al Massimo di Torino , con lettura di alcuni brani di Moni Ovadia, lo scrittore connota la conoscenza del tedesco come ciò che separava la vita dalla morte nel Lager. “Sapere il tedesco significava la vita.” Ma anche l’essere un valente chimico contribuì a salvarlo e a farlo entrare nel “Commando 98 di Chimica” anziché nel forno crematorio. E tuttavia sarà Dante con il Canto di Ulisse, uno dei più struggenti capitoli di “Se questo è un uomo”, a restituirgli il senso vivo dell’umanità solidarietà , della bellezza, l’amore per il sapere e la nostalgia per la casa natìa. E sarà la stessa figura omerica-dantesca di Ulisse che riemergerà dopo molti anni ( espresse il desiderio che fossero scolpite in greco sulla sua lapide le parole “pollà plankte” che definiscono l’eroe e la sua voglia di andare per il mondo ) , nella circostanza della sua tragica morte, avvenuta per suicidio ( si gettò nella tromba della scala del palazzo dove era nato e vissuto ) vent’anni fa, l’11 aprile 1987 , scomparsa che è stata ricordata con una serie di manifestazioni teatrali, radiofoniche, museali e perfino con un ‘opera lirica, “Passio”, del compositore spagnolo Luis de Pablo, che è stata eseguita in prima
mondiale dal maestro Gianandrea Noseda , “-… una musica che rispecchia fedelmente lo stile asciutto e distaccato, ma non scevro da tinte impressioniste di Levi... Una riflessione sull’umanità destinata a soffrire senza ragione , una musica intensa, di grande impatto emotivo , ma non di facile intesa”- presso l’Auditorium Rai di Torino , città in cui Levi era nato la sera del 31 luglio 1919. da un’agiata famiglia di ebrei piemontesi di solide tradizioni intellettuali.
Il padre, l’ing. Cesare , uomo vivo e vitale, straordinariamente versatile, estroverso , esuberante, è esattamente l’opposto di Primo , che è introverso, timido, di gracile costituzione fisica e di una sensibilità tutta particolare, e avverte nei confronti del vigoroso padre una costante soggezione , che si colora talvolta di paura e di ombrosi risentimenti. L’impossibilità di avere un rapporto di confidenza con il padre accentua la sua introversione, tende sempre più ad isolarsi, a vivere in un mondo tutto suo, carico di tensioni e di paura.

2.Fondamentale sarà per lui , in questa fase delicata dell’adolescenza , il vincolo affettivo che lo lega alla sorella che lo aiuta a superare l’ostacolo e le difficoltà del suo isolamento. Studia presso il ginnasio-liceo D’Azeglio e ha , per qualche mese , Cesare Pavese come insegnante di lettere. All’esame di maturità viene rimandato con tre in italiano. Non riesce a scrivere nulla sul componimento assegnato che ha per tema “La guerra in Spagna”. Consegna il foglio in bianco. Nel 1937 si iscrive alla facoltà chimica dell’Università di Torino , dove si afferma ben presto come il migliore del suo corso e consegue la laurea nel 1941 summa cum laude. Esercita subito la professione di chimico in condizioni di semiclandestinità (fin dall’ottobre del 1938 era stata emanata la “carta della razza”, una serie di provvedimenti legislativi e amministrativi anti-ebraici) , in una cava d’amianto a Balangero presso l’industria Wander di Milano. L’8 settembre 1943 lascia l’impiego e si trasferisce in Val d’Aosta , sopra Saint Vincent, dove viene in contatto con altri giovani appartenenti al movimento “Giustizia e Libertà”. Sono in otto, sprovvisti di mezzi e di armi , senza nessuna esperienza militare. Hanno solo esuberanza ed entusiasmo giovanile. Il 13 dicembre vengono catturati e portati ad Aosta , dove saranno sottoposti a interrogatori e maltrattamenti. Dopo due mesi di prigionia Levi ammette di essere cittadino italiano di razza ebraica e viene così inviato a Fossoli , presso Modena, campo di raccolta degli ebrei.


3.Il 22 febbraio 1944, insieme ad altri seicentoquarantanove compagni di sventura , viene deportato ad Auschwitz. Soltanto tre di essi, compreso l’autore di “Se questo è un uomo”, sopravvivranno al Lager. E lo stesso Levi dirà paradossalmente che “ è stato il
lager a rendermi forte; l’ossatura morale mi è venuta dopo, dopo di aver raccontato e scritto , dopo di essermi sentito depositario di un’esperienza orribile e fondamentale, che era necessario diffondere e commentare. Solo dopo che l’umanità mi era stata negata , e dopo averla conquistata scrivendo, mi sono sentito uomo nel senso del libro”
Ma non è vero: Levi riuscirà a sopravvivere all’inferno del Lager grazie alla sua forza morale e di carattere , alla sua profonda maturità, alla sua intelligenza , alla sua coerenza interiore, ma soprattutto – come abbiamo detto - furono gli studi di chimica e la conoscenza del tedesco a salvargli la vita e a farlo diventare il massimo scrittore – testimone del XX secolo, ad iniziare dal suo primo libro, che Levi comincia a scrivere subito dopo la deportazione , al ritorno a Torino, ( siamo alla fine del 1945 ) . Ma quei ricordi di prigionia non interessano nessuna delle grandi case editrici , né Natalia Ginzburg, che lavora per Einaudi, a cui Levi si rivolge. Sarà il piccolo editore Silva a pubblicare “Se questo è un uomo” in 2500 copie , in gran parte invendute. Ma se il libro non venisse stampato , Levi lo narrerebbe , lo urlerebbe per le strade , tale è il suo stato d’animo, l’esigenza di raccontare quanto ha visto e vissuto, rendere partecipi gli altri, attaccar discorsi, costringere i suoi interlocutori ad ascoltare, a prendere atto delle tragiche allucinanti avventure nelle quali è incorso.

4.“L’idea di dover sopravvivere per raccontare quanto avevo visto mi aveva ossessionato giorno e notte , per cui posso affermare che il libro è nato nel Lager “, dirà lo scrittore. Ma il successo come tale lo otterrà solo dieci anni dopo, quando , in occasione di una sua conferenza a Palazzo Carignano sulla deportazione e le atrocità dei Lager , l’editore Einaudi decide di pubblicare il libro , che esce contemporaneamente al “Diario di Anna Frank”. Ed è subito un successo straordinario. Il libro viene tradotto in moltissime lingue e ottiene vari riconoscimenti internazionali. Nella sola Germania se ne vendono cinquanta mila copie in tre mesi. “Io non credo – scrive Levi al traduttore della lingua tedesca Heinz Riedt – che la vita dell’uomo abbia uno scopo definito; ma se penso alla mia vita, agli scopi che finora mi sono prefissi,uno solo ne riconosco ben preciso e cosciente, ed è proprio questo, di portare testimonianza, di far udire la mia voce al popolo tedesco , di rispondere al Kapo che si è pulito la mano sulla mia spalla , al dottor Pannwitz, a quelli che impiccarono Ultimo e ai loro eredi…”. Si tratta di personaggi reali che ritroviamo nel suo capolavoro, nato dall’insopprimibile esigenza etica, dall’urgenza e dalla necessità di un obbligo morale, di rendere consapevoli i contemporanei, attraverso la propria testimonianza diretta, di una delle massime atrocità che gli uomini potessero compiere nei riguardi dei loro simili: l’attuazione dei campi di sterminio. Ma il libro nasce anche dalla volontà di cercare di comprendere - “…non posso dire di capire i tedeschi e qualcosa che non si può capire costituisce un vuoto doloroso, una puntura, uno stimolo permanente che chiede di essere soddisfatto – e dalla sua passione del ricordare, che sono doti tipicamente ebraiche. Egli aveva una tale dimensione della memoria, che è anche “trasmissione di una lingua remota dei padri, sacra e solenne, geologica, levigata dai millenni come l’alveo dei ghiacciai”, che lo portava in qualche modo sempre e comunque all’inevitabile missione della testimonianza e della profezia.


5.Ricordare, ricordare per sé e per gli altri compagni innocenti massacrati ; insegnare a tutti come si ricorda, come non si dimentica, come non si deve dimenticare e cercare di studiare e di capire l’uomo: come possa egli, l’uomo degradarsi al più basso livello morale della sua storia, facendo dello sterminio gratuito, della tortura scientifica , dell’abbrutimento dei suoi simili la propria prassi e il proprio ideale. Che cosa ha trasformato quegli uomini in belve? Gli aguzzini del Lager “erano della nostra stessa stoffa, esseri medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi…ma erano educati al male” .
Dunque , individui non diversi da tanti altri , non diversi , forse, da noi, trasformati in spietati carnefici. Per pigrizia mentale, per miope calcolo, per stupidità , per orgoglio nazionale, perché ” erano educati al male”? Ma chi li ha educati al male, e perchè ? “A molti individui o popoli – scrive Levi - può accadere di ritenere , più o meno consapevolmente , che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come un ‘ infezione latente…” Ed è su questa infezione latente - che alberga (purtroppo) in ognuno di noi e può manifestarsi in qualunque momento in atti saltuari e incoordinati verso coloro che vediamo come “ stranieri”, o “ diversi”, che dovremmo ancora oggi riflettere, visto quello che si è ripetuto e continua a ripetersi nel mondo anche ora.

6.Levi non è diventato nichilista , né manicheista , si è fatto carico di un giudizio di valori, senza mai perdere di vista la distinzione insormontabile che esiste tra Bene e Male, ma non si è trasformato in rigido moralista ; è riuscito a mantenersi in equilibrio , non idealizzando le vittime e non demonizzando i carnefici , e lo ha fatto attraverso il continuo studio e l’analisi di alcuni aspetti dell’animo umano , ha tracciato una via obliqua verso una nuova dignità , “una cote su cui affilare il cuore e la mente , un crogiolo di purificazione , ma tenuta quasi segreta per evitare ogni retorica. E lo ha fatto con una scrittura che fosse chiara , semplice , perfettamente lucida - “ una scrittura che deve servire a comunicare , a trasmettere informazioni o sentimenti da mente a mente , perché questo è il compito di chi scrive . Se si scrive in modo oscuro, col solo linguaggio del cuore , non si viene capiti da nessuno e non si trasmette nulla, si grida solo nel deserto”. Ed ecco dopo la discesa agli inferi di “Se questo è un uomo “ , “La tregua” , il libro-odissea , il libro del ritorno, inteso come travaglio interiore , lotta contro le memorie , resurrezione alla vita , dove gli episodi , i personaggi, gli incontri, le stesse tappe del viaggio stanno ad illustrare , in chiave emblematica , i momenti cruciali di quel doloroso itinerario che è appunto il recupero dell’io , della propria integrità umana , calpestata e avvilita dalle tremende ferite che Levi ha dovuto subire. “La Tregua “ è anche una salita verso una liberazione che si mostrerà illusoria .

7.“ La libertà , l’improbabile , impossibile libertà , così lontana da Auschwitz che solo nei sogni osavamo sperarla, era giunta; ma non ci aveva portato alla “Terra Promessa. Era intorno a noi, ma sotto forma di una spietata pianura deserta. Ci aspettavano altre prove, altre fatiche , altre fami, altri geli, altre paure” E tutti i suoi libri successivi, fino all’ultimo, “I sommersi e i salvati” , conserveranno quel linguaggio “ chiaro , essenziale , comprensibile a tutti, come le elaborazioni chimiche che hanno una lunga ombra simbolica del ridurre , concentrare, distillare , cristallizzare , “una lunga arringa , - scrive Tzvetan Tudorov , - di chi rifiuta le risposte facili basati su esami frettolosi . Levi non si accontenta di rievocare gli orrori del passato , ma si interroga a lungo e con pazienza sui significati che tali orrori hanno oggi per noi. Sa che le passioni e i comportamenti umani non cambiano mai radicalmente e la storia si ripete; ed è proprio in questo atteggiamento verso il passato che sta la sua lezione più preziosa. Che uomini come Levi abbiano camminato su questa terra , che siano sfuggiti all’insidiosa penetrazione del male che sapevano così bene descrivere , è fonte di incoraggiamento per il lettore di questo libro, comunque sprofondato negli abissi della miseria e nella malinconia . Levi non ce l’ha fatta a sostenere il peso dei ricordi, “ che giacciono in noi e sono incisi sulla pietra” , e che diventeranno man mano talmente ossessivi in lui fino a condurlo all’estrema tragica disperazione del gesto fatale perché sempre, al “superstite” del Lager “ad ora incerta,/quella pena ritorna,/e se non trova chi lo ascolti/ gli brucia in petto il cuore./Rivede i visi dei suoi compagni/lividi nella prima luce,/grigi di polvere di cemento,/indistinti per nebbia,/tinti di morte nei sonni inquieti…. "Indietro, via di qui, gente sommersa,/Andate. Non ho soppiantato nessuno, /non ho usurpato il pane di nessuno,/nessuno è morto in vece mia. Nessuno./Ritornate alla vostra nebbia./Non è colpa mia se vivo e respiro. E mangio e bevo e dormo e vesto panni".
Sarà quest’angoscia senza sosta e senza fine che lo porterà al suicidio, gettandosi nella tromba delle scale della sua casa paterna di Torino, dopo aver salutato e ringraziato con un sorriso gentile la portinaia che gli portava la posta e aver lasciato un ultimo messaggio: “Non dimenticate”...










L'affondamento della Santo Stefano

RECITAL

PERSONAGGI

AMMIRAGLIO NICOLAS HORTY
ATTILIO BISIO
AMMIRAGLIO PAOLO THAON DI REVEL
CAPITANO DI CORVETTA LUIGI RIZZO
CAPO TIMONIERE ARMANDO GORI
CANNONIERE GIORGIO VARCHETTA
GABRIELE D’ANNUNZIO
CAPITANO DI FREGATA COSTANZO CIANO
GIUSEPPE UNGARETTI
PIERO JAHIER
CARLO EMILIO GADDA
COMMODORO SEITZ
TENENTE TITZ
AMMIRAGLIO DAVID BEATTY
NARRATORE
GRUPPO COREOGRAFICO
AUTORE


VOCE F.C.

Quartier Generale Austriaco. 28 maggio 1918.

NARRATORE

L’Ammiraglio Nicolas Horty , nominato da pochi mesi Comandante in Capo della Flotta Austro-ungarica è ancora sofferente per i postumi delle ferite riportate durante il forzamento di Capo d’Otranto dell’anno precedente. Zoppica e talora è costretto a camminare servendosi ancora delle grucce, ma la sua carica vitale è dirompente.


HORTY
Vostra Maestà Imperiale, Signori Capi di Stato Maggiore, ritengo che la prevista offensiva terra-mare per scardinare il sistema difensivo italiano debba essere condotta con il massimo delle forze disponibili.
Dobbiamo travolgere sul fronte del Piave l’esercito italiano e sferrare contemporaneamente un attacco di altrettanta potenza contro la Marina.
Ci ho riflettuto a lungo.
Bisogna colpire Otranto , con la massima potenza disponibile e con estrema determinazione.
Otranto è il punto forte e insieme il punto debole del nemico. Signori, la storia è al bivio: si tratta di scrivere una pagina che resterà decisiva per le sorti di questa guerra.

NARRATORE
Il piano di Horty prevede che la “Viribus Unitis” e la “Prinz Eugen” lascino la base di Pola all’alba dell’8 giugno , dirette verso sud, seguite a poche ore di distanza dalla “Szent Istvan” e dalla “Tegethoff”. Si tratta di quattro corazzate superarmate e poderosamente scortate , con un potenziale distruttivo nel suo complesso terrificante. Attaccare di sorpresa, colpire , forzare lo sbarramento
Antisommergibile di Otranto, costringere il nemico ad uscire dalla tana per portargli un’offensiva forse mortale, questo è il piano dell’Ammiraglio Horty.

HORTY
Abbiamo già dimostrato , con la squadra di Incrociatori , che siamo in grado di forzare lo sbarramento di Otranto. Allora le soverchianti forze nemiche c’impedirono di portare a compimento la missione. Ora colpiremo di sorpresa e in forze. Se riusciremo a sfondare ad Otranto potremo distruggere il grosso della flotta italiana. Perché saranno impreparati, perché saranno sorpresi da tanta audacia, perché saranno soverchiati dalle navi imperiali.
Ma per la buona riuscita dell’operazione occorre innanzi tutto il massimo della segretezza.


NARRATORE
Il comando della spedizione viene affidato al Commodoro Seitz che alza le proprie insegne sulla “Szent Istvan” , formidabile moderna nave di 20 mila
tonnellate , 26 mila cavalli a turbine, 151 metri di lunghezza , 27,30 di larghezza , 20 nodi di velocità, 40 cannoni e 4 tubi lanciasiluri.
La “ Santo Stefano” , una dreadnought, varata a Fiume nel 1911 , rappresenta il vanto e l’orgoglio della marina imperiale austroungarica.

VOCE F.C.
Porto di Pola. 9 giugno 1918

NARRATORE
E’ ormai la notte del 9 giugno 1918 e tutto è pronto per la missione di guerra. Nell’ultima settimana, Seitz ha dato ordini che nessun membro dell’equipaggio avesse licenze o franchigia. Anche la posta in partenza è stata trattenuta dal comando di bordo.
La squadra navale austriaca lascia il porto di Pola con le due grandi navi da battaglia, la “Santo Stefano” e la “Tegethoff”, scortate da una decina di caccia. Sono dirette a sud. Banchi di bassa nebbia indugiano pigri sul mare. Tutte le luci sono spente. Il Commodoro Sietz ha dato ordini perentori: né luci, né rumori. La missione è di vitale importanza, la sorpresa ne è l’elemento fondamentale, essenziale. Gli italiani non devono sospettare di nulla.


VOCE F.C.
Acque di Premuda. Notte tra il 9 e il 10 giugno 1918.

NARRATORE
Nel frattempo , a diverse miglia di distanza, due piccole imbarcazioni oscillano quietamente sul mare. Sono i MAS italiani della Sezione di Ancona, contrassegnati con i numeri 15 e 21 . Si sono staccati dai rimorchi alle ore 21.30 e stanno effettuando una perlustrazione del canale tra le isole di Gruizia e di Premuda. Si tratta di una missione di routine: dragare le acque, con i rampini esplosivi , durante la notte, e ritornare al punto convenuto alle ore 2.30 per far ritorno alla base di Ancona.

AUTORE
Ma cos’erano i MAS, queste pulci del mare che spesso vinsero i giganti?
Ingegnere Bisio, lei che ne fu l’inventore, ce ne vuole brevemente parlare?

BISIO:
Certamente. Il MAS, Motoscafo Antisommergibile, fu progettato con la sagoma bassa e sfuggente sull’acqua , speciali linee di chiglia, e una particolare struttura dei fianchi, perché il pescaggio doveva essere minimo ( non più di quaranta centimetri), ma allo stesso tempo doveva avere un ampio spazio per collocarvi due motori possenti, da 250 HP l’uno, che consentissero di raggiungere velocità elevate, circa 32-35 nodi.

AUTORE:
Per quale tipo di impiego era stato ideato il MAS , ingegnere?

BISIO:
L’impiego originario del MAS era quello di pattugliamento dei canali della laguna veneta e di fungere da estrema difesa contro il naviglio sottile nemico.
Quindi doveva rispondere alle caratteristiche che abbiamo indicato, di velocità, agilità e, per quanto possibile, di invulnerabilità. Soprattutto doveva essere potentemente armato per far fronte a tutti i tipi di nemici, dal sommergibile alle grosse unità.
E’ chiaro che uno scafo del genere non poteva avere che piccole dimensioni e doveva – come ho già detto – essere basso sull’acqua per risultare invisibile, o quasi.
Ne era previsto l’impiego anche come unità d’attacco, con armamento d siluri , di grandi Unità. Ma nessuno di noi poteva sospettare che proprio come tale il MAS sarebbe risultato determinante.


AUTORE
L’equipaggio del MAS era composto da un Ufficiale e due motoristi, un sottonocchiere, un cannoniere, un mitragliere, un prodiere e tre marinai , in tutto dieci persone.
L’Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Capo di Stato Maggiore della Regia Marina Italiana, era entusiasta dei MAS , perché ne aveva intuito le eccezionali possibilità offensive dei MAS, e questo fin dalla loro fase di progettazione.
E’ così, Ammiraglio?

THAON DI REVEL
In verità se avessimo più sommergibili e un’aviazione aerea degna di questo nome sarei molto più tranquillo per l’esito di questa guerra. Dico questo senza voler polemizzare col Duca degli Abruzzi , che è un ardimentoso naturale, un amante dell’avventura legato alle memorie delle antiche tenzioni cavalleresche, e ride di queste mie fisime moderne. Ma io, come Capo di Stato Maggiore della Marina, ho le mie responsabilità e ho il dovere di essere prudente prima che spericolato.E tuttavia vi dico che, in mancanza di sommergibili e aerei, saranno i MAS , questi piccolissimi David , ad atterrare i giganti Golia imperiali. Non a caso tutto lo sforzo della Marina è indirizzato a potenziare tali scafi.
Ora ci vogliono uomini di coraggio e di grande valore. E noi li abbiamo. , Uomini , come il Comandante Rizzo, disposti a tutto per la gloria e la grandezza della Patria.
Ho già telegrafato a Rizzo, che si lamenta di non aver avuto neppure due giorni di licenza per sposarsi. Gli ho fatto sapere che se il nostro “progetto” riuscirà avrà non due giorni, ma una vera licenza per godersi la luna di miele ed anche la promozione a Capitano di Corvetta.

AUTORE
Il progetto di cui parla l’ammiraglio Thaon di Revel in quel freddo autunno
del 1917 fu portato a compimento dall’allora Tenente di Vascello Luigi Rizzo nella notte del 9 dicembre 1917, con l’affondamento della corazzata austriaca “Wien” nel porto di Trieste. E il 12 dicembre “Il Corriere della Sera” riportava la notizia in prima pagina , ma su una sola colonna, il breve testo in neretto diffuso dal Capo di Stato Maggiore della Marina:


THAON DI REVEL
Nella notte dal 9 al 10 dicembre il nostro naviglio sottile aprendosi il varco attraverso le varie ostruzioni sopracque e subacque entrava nel porto di Trieste e lanciava contro due navi quattro siluri: una delle due navi, la “Wien”, è colata a picco. Quantunque fatte segno a lanci di siluri e intenso fuoco nemico, le nostre unità sono rientrate incolumi nelle loro basi.

AUTORE
Una delle più straordinarie imprese della nostra Marina, forse una delle più straordinarie mai compiute da tutte le marine del mondo, veniva liquidata con una notiziola modesta e sobria di poche righe , senza alcun commento trionfalistico. E non veniva riferito neppure il nome di chi l’aveva portata a termine.
Questo era lo spirito della Marina, in perfetta sintonia con quello del suo capo, Ammiraglio Thaon, uomo duro , spigoloso, scontroso, m adi grande coraggio, dignità e serietà.


VOCE F.C.
Acque di Premuda. 10 Giugno 1918. Ore 1.45.

NARRATORE
Intanto Rizzo era stato promosso Capitano di Corvetta e comandava proprio la Sezione MAS che ora si trova in zona di perlustrazione. E’ a bordo del MAS 15 e continua a perlustrare le acque antistanti l’isola di Premuda , unitamente al MAS 21 , al comando del Guardiamarina Giuseppe Aonzo, siciliano come lui. La notte è calma e tranquilla e Rizzo per un attimo si abbandona ai ricordi.

VOCE F.C.
Ricordo di Buccari.

NARRATORE
La sua ultima impresa Rizzo l’ha compiuta insieme a Gabriele D’Annunzio e Costanzo Ciano, nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918, passata alla storia come “La beffa di Buccari”.
Forse ora sta ripensando alle sue indecisioni e perplessità che avevano preceduto quell’impresa rischiosissima e senza una reale contropartita. Sta pensando all’incontro con il Poeta , che ogni mattina gli si presenta pieno di entusiasmo, ricco di energia , invariabilmente eccitato, e gli chiede di salpare. “E allora, Rizzo, quando si va?” Rizzo dice che è una pazzia. Buccali è una gola stretta di mare difesa dalle batterie austriache. E poi cosa avrebbero trovato? A Rizzo piace l’azzardo, ma ci deve essere qualcosa di concreto, qualcosa da affondare. Anche il Comandante Ciano, che comanda la flottiglia MAS di Venezia, è piuttosto perplesso. Ma il poeta insiste. Rieccolo davanti a lui , con il monocolo, eccolo che lo guarda con gli occhi febbrili:


D’ANNUNZIO
Caro Rizzo, l’audacia è dei forti e dei forti è la fortuna.
Brindiamo.
Domani la storia canterà la nostra follia che si è cinta l’alloro della gloria.
Abbiamo un conto da saldare con quelli là.
Lissa.


NARRATORE
A quel nome Rizzo ha sentito una fitta al cuore . Suo zio era morto proprio a Lissa . Ha tirato fuori la carta dell’Adriatico e l’ha distesa davanti al poeta. Stavolta è deciso. Non si torna indietro.

RIZZO:
Dove andiamo?

D’ANNUNZIO
Buccari.
Dove è impossibile entrare e ancora più impossibile uscire.

RIZZO:
Sta bene.
Ora è Ciano che deve decidere.
E’ lui il Comandante.

D’ANNUNZIO
Caro Rizzo nel nostro paese s’ingrossano le vene del disfattismo.
Occorre un’impresa che tiri su il morale e di una iniezione di fiducia e di entusiasmo alle nostre truppe sul Carso.


VOCE F.C.
Sul fronte del Carso.





NARRATORE
Sul Carso, intanto, un altro più giovane poeta, allora sconosciuto, combatteva , soffriva e piangeva per la sorta dei fratelli italiani: il soldato semplice Giuseppe Ungaretti.


( Il gruppo coreografico forma delle figurazioni in base ai testi ungarettiani )


UNGARETTI
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandelli di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel mio cuore
nessuna croce manca

E’ il mio cuore
il paese più straziato.



D’ANNUNZIO
Il mattino è nuziale.
Il bacino è cangiante e soave come la gola del colombo.

UNGARETTI
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.

D’ANNUNZIO
Le case hanno qualcosa di femmineo, simili a donne che si levino sul gomito
e guardino attraverso le cortine d’oro filato.
Scorgo sul cilestrino dell’acque le nostre saettie grigie coi loro siluri dal muso di bronzo.

UNGARETTI
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli

D’ANNUNZIO
Vedo la dirittura della riva, la vecchia pietra degli approdi e delle partenze,
e lungo la riva i marinai allineati, la bella materia eroica.

UNGARETTI
Come questa pietra
del San Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo.

D’ANNUNZIO
Parlo agli uomini in riga contro un muro di mattoni che ha il colore del sangue
Aggrumato.
Calcano coi loro calderoni di tela grossa un’erba trista di carcere, mal nata
tra salce e selce. E, il resto dei corpi sembra asciutto e leggero come l’esca,
come una sostanza che pigli fuoco subito.

UNGARETTI
Assisto la notte violentata

L’aria è crivellata
come una trina
dalle schioppettate
degli uomini
ritratti
nelle trincee
come lumache nel loro guscio.
D’ANNUNZIO
Marinai, miei compagni, questa che noi stiamo per compiere è un’impresa di taciturni. Il silenzio è il nostro timoniere più fido.

UNGARETTI
In agguato
in queste budella
di macerie
ore e ore
ho strascicato
la mia carcassa
usata dal fango
come una suola
o come un seme
di spinala.

Ungaretti
uomo di pena
ti basta un’illusione
per farti coraggio

Un riflettore
di là
mette un mare
nella nebbia.

D’ANNUNZIO
Non conviene un lungo discorso a muovere un coraggio che è già impaziente di misurarsi col pericolo ignoto.



UNGARETTI
Sono un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni.

Sono un frutto
d’innumerevoli contrasti d’innesti
maturato in una serra.

Ma il tuo popolo è portato
dalla stessa terra
che mi porta
Italia.

E in questa uniforme
di tuo soldato
mi riposo
come fosse la culla
di mio padre.

D’ANNUNZIO
Ciascuno dunque oggi deve dare non tutto sé, ma più che tutto sé, deve operare non secondo le sue forze, ma di là dalle sue forze.

UNGARETTI
Su un oceano
di scampanellii
repentina
galleggia un’altra mattina.

D’ANNUNZIO
“Lo giurate? Compagni, rispondetemi!”
E’ E’ come lo scoppio d’una fiamma repressa.
“ Lo giuriamo. Viva l’Italia!”

UNGARETTI
Col mare
mi sono fatto
una bara
di freschezza.

VOCE F.C.
Acque di Premuda . 10 giugno 1918. ore 2.05

NARRATORE
Su quella bara di freschezza che è il mare dalmata, continuano ad allungarsi su Rizzo le ombre dei ricordi, mentre il capo timoniere Gori, il torpediniere Bertucci e i marò Donato e Bagnato continuano a filare in mare i rampini esplosivi . Dietro di loro il MAS di Aonzo è intento alla medesima operazione. Tra poco meno di mezz’ora rimetteranno le prore verso il punto d’incontro con le due torpediniere che rimorchieranno i MAS alla loro base di Ancona.




VOCE F.C.
L’ombra lunga di Buccari.

NARRATORE
Rieccolo D’Annunzio che si reca da Rizzo e Ciano con il rituale carico di champagne . Brindano tutti e tre al grido di “Viva l’Italia”. Ed ecco la sagoma grigia del MAS 96 sul cui paraspruzzi il poeta ha fatto scrivere dal suo fido marò Biancamano “Memento audere semper”
Oh, sì, ricordati di osare sempre!
Ora Rizzo è nella gola oscura di Buccari dove non si riesce a vedere una nave nemica . Chiede il Comandante Ciano , visibilmente contrariato: “ Dove sono le navi da guerra avvistate dal nostro ricognitore?”
Per tutta risposta , Rizzo mormora una maledizione agli austriaci, mentre il poeta è quasi completamente ignaro, a poppa, intento ad armeggiare con le sue bottiglie tricolori.
D’ANNUNZIO
Siamo dentro la baia nemica , proprio in fondo al vallone di Buccali, nella sua estremità settentrionale , di contro all’ancoraggio, inosservati, insospettati. Rizzo mi mormora all’orecchio:

RIZZO
Che bbona gente , questi austriaci!


D’ANNUNZIO
Mi accosta quella sua bietta mal rasa che gli è servita a fendere il fianco della “Wien” con un colpo solo. Ma non dice “buona gente”, in verità. Mi scodella gli attributi di Bartolomeo Colleoni. Gli prendo il polso, glielo tasto. Lui ride, abbassando i lunghi cigli sui suoi occhi saracini. E’ il polso di un arabo che abbia trascorso la sua esistenza a fumare e a sonnecchiare addossato a un muro bianco. Io ho le mie bottiglie sotto mano, pronto alla beffa: forti bottiglie nerastre, di vetro spesso, panciute, col cartello dentro avvolto in rotolo, scritto di mio pugno, scritto di buon inchiostro.
Le ho preparate io stesso…Poso la prima bottiglia nell’acqua , con le sue belle fiamme spiegate.


VOCE F.C.
Acque di Premuda. 10 giugno 1918. ore 3.12



NARRATORE
Alle due e mezzo Capo Gori ha già segnalato a Rizzo l’orario di fine operazioni. Rizzo ha come un presentimento.

RIZZO:
Draghiamo quest’ultimo tratto di mare, mentre dirigiamo per il punto convenuto.

NARRATORE
Il MAS di Aonzo segue quello di Rizzo. Continuano a lavorare indisturbati. Alle ore 2.45 alano i rampini esplosivi per fine ricognizione.
Scriverà Rizzo nel suo rapporto:

RIZZO
Verso le ore 3.15 , essendo a circa miglia 6.5 da Lutostrak , avvisto leggermente a poppavia di traverso e sulla dritta, una grande nuvola di fumo.


VOCE F.C.
Il rompiscatole di turno.

AUTORE
Ammiraglio Horty, se Rizzo si fosse allontanato ancora per un secondo, o forse una frazione di secondo, accelerando con i motori, come previsto da ordine di operazioni, forse oggi si scriverebbe un’altra storia?

HORTY
Egregio Signore , la storia si sa, non è mai fatta con i “se”. Se Napoleone a Waterloo avesse ricevutoi rinforzi, o gettato nella mischia le forze fresche della Vecchia Guardia , anziché tenerla di riserva…E’ certo comunque che il futuro di interi popoli , di centinaia di milioni di persone dipende a volte da un piccolo fattore che inceppa il meccanismo complessivo messo in moto da tanti cervelli che hanno dato il meglio…
Il “rompiscatole” di turno, in questo caso, è Luigi Rizzo, l’eroe dei MAS che noi, purtroppo, ben conoscevamo.
Il bello ( o per meglio dire, il brutto per noi) della situazione è che Rizzo stavolta non sa nulla dell’attacco combinato dei nostri Stati Maggiori, né del mio piano. Si trova lì per caso, una semplice ricognizione. Egli non sa, ma è come un lupo, fiuta, agisce, talvolta senza logica, senza ragione, va con l’istinto che asseconda la sua natura di cacciatore.
Egli è infatti un cacciatore di prede…
Sono pochi questi uomini dotati di quest’istinto primitivo, oserei dire selvaggio, e lui ce l’ha. Purtroppo per noi , sono questi gli uomini che, in guerra, hanno capacità , da soli, di rovesciare l’esito di una situazione fondamentale…
Che devo dirle?
Onore e merito a questi uomini di valore, a qualunque popolo e nazione essi appartengono.


VOCE F.C.
Acque di Premuda. Ore 3.45.

NARRATORE
Sul momento Rizzo non sa individuare chi possa emettere quel fumo, non sa con quale tipo di imbarcazione abbia a che fare. Può arrischiare solo delle supposizioni.

RIZZO
Certamente si tratta di navi nemiche, perché qui di scafi italiani ci sono solo i nostri.
Forse siamo stati avvistati. Magari si tratta di torpediniere austriache uscite da Lussino e stanno per venirci addosso.

NARRATORE
La logica sussurra a Rizzo di far rientro.

RIZZO
Aumenta i giri e muovi rapidamente verso il luogo di appuntamento prima che sia troppo tardi. Non puoi rischiare la vita di 15 marinai che ti sono stati affidati.

NARRATORE
Ma Rizzo non è disposto ad ascoltare fino in fondo la voce della prudenza. E’ un uomo di assalti e se fosse solo lui a rischiare non esiterebbe neppure un istante; il piacere di osare l’attacco al nemico è la gioia più intensa, totale, inarrivabile che egli possa provare. Ma Rizzo non è solo ed è per questo che ha titubanze.

RIZZO
Una torpediniera è il più grave pericolo in cui tu possa incorrere, amico mio, in primis perché è più veloce di te. Ricordati che con quei siluri che appesantiscono lo scafo non puoi fare più di 18-19 nodi. E poi non sei assolutamente attrezzato per contrarla . Non hai armi adatte. Fuggi prima che si avvicinino!

VOCE F.C.
Bordo della Nave Ammiraglia. Ore 4.30

NARRATORE
Nel frattempo che il MAS di Rizzo s’avvicina alla nuvola di fumo, a bordo della Santo Stefano , il commodoro Seitz guarda accigliatissimo le grandi nubi che uscivano dai fumaioli delle sue unità e macchiavano di un nero denso e compatto il cielo.
Era il crepuscolo mattinale. Seitz fa chiamare il comandante della Nave.

SEITZ
Male, malissimo! Quelle nubi nere possono essere avvistate esattamente come la luce di un fanale! Occorre fare qualcosa per eliminarle, o almeno attenuarle. Provveda subito!

VOCE F.C.
Acque di Premuda. Ore 4.35


RIZZO:
Chi può escludere che invece di una torpediniera , si tratti di ben altro, con tutta quella massa di fumo? Chi può escludere che non si tratti di una grossa unità da guerra?

NARRATORE
In Rizzo prevale l’animus del cacciatore che fiuta la preda . Non può resistere , non sa resistere. Ormai ogni dubbio è dissipato , ogni perplessità
è sciolta. Vira di bordo e dirige decisamente verso quella nuvola di fumo sempre più vicina . Lo segue come un’ombra il MAS 21 di Giuseppe Aonzo.
In questa grande impresa di taciturni e silenziosi , sul far dell’alba del 10 giugno 1918 , i due MAS, invisibili sparvieri, con gli equipaggi tesi e pronti al combattimento , passano in mezzo alle grandi corazzate austriache, nere e torreggianti sul mare, opponendo all’aquila imperiale il piccolo ricolorare inclinato a poppavia.

D’ANNUNZIO
La nostra piccola bandiera quadrata si muove come una mano che faccia un continuo cenno. Ha il rosso rivolto verso l’Istria che mi par di rivedere in sogno simile ad un grappolo premuto o a un cuore aperto. L’alba non è uguale per tutti.

VOCE F.C.
Sul Piave. 10 giugno 1918.

L’alba non è uguale per tutti, dice D’Annunzio. E infatti sul Piave il sottotenente Carlo Emilio Gadda e il capitano degli Alpini Piero Jhahier si preparano a fronteggiare l’attacco della fanteria austriaca, chiusi nella loro tenda di campo.



GADDA
Soffro per la famiglia , per la Patria , specie nei gravi momenti: allora, anzi l’angoscia mi prende alla strozza.
Ma il dolore bestiale , il macigno che devo reggere più grave , la rabbia porca, è il mancare all’azione, è l’essere immobile mentre gli altri combattono , è il non potermi gettare nel pericolo ch’ero venuto ad amare sopra ogni cosa.
Certo le mie capacità militari sono poche: ma appena sento il rumore della battaglia, appena i cannoni urlano nelle foreste, una specie di commozione sovrumana mi pervade l’anima: appena la fucileria tambureggiante si fonde in un solo boato, l’ardore della lotta mi prende , sotto forma d’un moltiplicarsi ddell’energia , della volontà, del vigore fisico, dell’entusiasmo…Sotto il fuoco, presente, immediato, provo il tormento che prova ogni animale nel pericolo, ma prima vi è solo il desiderio di fare qualcosa per questa porca patria, di elevarmi nell’azione , di nobilitare in qualche maniera quel sacco pieno di cenci che il destino vorrebbe fare di me.

JAHIER
Altri morirà per le aquile e per le bandiere
ma io per questo popolo rassegnato
popolo che viveva nel giusto e nel giusto muore
senza sapere
anch’io con lui sulla strada della fatica.

Altri morirà per le medaglie e le ovazioni,
ma io per questo popolo illetterato…

Altri morirà per la sua vita
ma io per questo popolo che fa i suoi figlioli
perché sotto le coperte non si conosce miseria,
popolo che accende il suo fuoco solo a mattina,
popolo che di osteria fa scuola ,
popolo non guidato, sublime materia…

GADDA
Vorrei parlarvi ed andare
Compatti dietro il cannone
Veder le granate a smontare
Pezzo per pezzo le corone
Delle trincere
Sopra i colli bruciati.
Avervi compagni, beati
Di giovinezza e d’orgoglio.
All’assalto delle trincere
E lungi dal soglio
Dell’opere prese
Altri monti vedere
Altre schiere
Avverse
Altri cieli senza confine
Altro ridente paese.
Non vedo che un velo
Di nuvole perse
Tetre, nere,
Andare col vento nel cielo.



JAHIER
Sotto, ragazzi,
se non si muore
si riposerà , allo spedale.

Ma se si dovesse morire
basterà un giorno di sole
e tutta Italia ricomincia a cantare.

GADDA
Un solo eroe abbiamo. E non è italiano, ma siculo-arabo. Il suo nome è Luigi Rizzo da Milazzo, e la sua figura d’uomo di azione si leva nobilmente , ed è una delle più splendide del nostro tempo; ed è tragico monito ai babbei impigliati nell’insipienza, nella incapacità di condurre un’analisi che si accosti al reale, e di proseguire conseguentemente ad una determinazione.


VOCE F.C.
Acque di Premuda. Ore 4.40

NARRATORE
Scriverà Rizzo nel suo rapporto:

RIZZO
Decisi di approfittare della luce incerta per prevenire l’attacco: invertivo perciò la rotta, seguito dal MAS 21, e dirigevo sulle unità nemiche alla minima velocità onde non far rumore ed evitare i baffi che avrebbero tradito la mia presenza.

NARRATORE
I baffi non sono ovviamente quelli di Rizzo, ma gli spruzzi d’acqua sollevati dalle prue dei MAS che potevano segnalarli al nemico. Ma Rizzo non sa quali siano le unità nemiche.
Solo quando i banchi di vapore si diradano quasi del tutto s’accorge di stae dirigendo su di una squadra da battaglia.

RIZZO
Dio mio. Di navi così non ne troveremo più. Diamogli sotto, ragazzi.

NARRATORE
I due MAS ora prendono velocità , mentre Rizzo studia la formazione nemica, cerca il punto più adatto per entrare in essa e avvicinarsi alle corazzate. I siluri, infatti, sono regolati a un metro e mezzo di profondità e non riescono a passare sotto la chiglia dei caccia per proseguire la loro corsa verso le navi da battaglia. E’ necessario quindi portarsi più avanti possibile e non avere nessun bersaglio tra il MAS e l’obiettivo.

VOCE F.C.
Bordo della Nave Ammiraglia. Ore 4.55



NARRATORE
Intanto a bordo della “Szent Istvan” , il commodoro Seitz è seduto quietamente sulla plancia e guarda il mare tranquillo. Il fumo si è diradato e comunque tra poco farà giorno . Ma, come se avvertisse la presenza improvvisa di qualcosa di mutato, qualcosa di non chiaro, si volge all’Ufficiale di Guardia.


SEITZ
Signor Titz controlli le posizioni dei cacciatorpediniere.

TITZ
Sì, Signore. Comandi.

NARRATORE
Mentre l’ufficiale di guardia s’affaccia alla murata della Santo Stefano, i due MAS , a 12 miglia di velocità, passano tra due caccia di scorta. Passano via senza essere avvistati. Rizzo sta aggrappato alla battagliola, la faccia bruna sferzata dagli spruzzi salmastri, gli occhi fissi alla mole torreggiante della nave ammiraglia, sempre più grande, sempre più vicina.
Calcola, rapido, preciso, il tiro, l’angolo d’impatto.
Leva la mano destra in alto – la Santo Stefano è a trecento metri, le altre navi austriache continuano la loro rotta, non hanno alcun sospetto - , Rizzo ora abbassa la mano.

RIZZO
Fuori uno!

NARRATORE
Uno scatto metallico , il siluro piomba pesantemente in acqua, comincia a saettare in avanti. Rizzo e tutto l’equipaggio lo seguono trepidanti, ma non aspettano l’impatto. Ecco che Rizzo alza nuovamente la destra, poi la riabbassa di scatto:

RIZZO
Fuori due!

NARRATORE
E mentre il secondo siluro inizia la sua corsa fatale, ordina al timoniere:

RIZZO
Accosta, ora. Andiamo via!

NARRATORE
Il MAS 15 piega bruscamente mentre due scie bianche dei siluri puntano vertiginosamente verso la grande corazzata “Santo Stefano”.
Sono le cinque precise del mattino e il Tenente di Vascello Titz ritorna in plancia per riferire al commodoro.

TITZ
Tutto in ordine, Signore. Tutte le navi sono in vista e la loro posizione…

NARRATORE
Titz s’interrompe : due colpi, due boati, quasi contemporaneamente, esplodono sotto la plancia. La grande nave sussulta. In pochi secondi , ancora prima che il giovane ufficiale possa rendersi conto di ciò che accade, ancor prima che il commodoro Seitz possa affacciarsi alla murata, due gigantesche colonne d’acqua si levano sul fianco della nave, che trema, sussulta e sbanda paurosamente.
Il grido dei marinai si confonde con lo scroscio delle esplosioni .
La Santo Stefano si piega su di un lato, ferita a morte.
Gli occhi di tutti guardano il mare: chi è stato?
Ma non si vede nulla, più nulla. E’ troppo tardi per inseguire un nemico invisibile e crudele che aveva lanciato siluri mortali, un nemico inafferrabile…


VOCE F.C.
Acque di Premuda. Ore 5.05

NARRATORE
Il MAS 15 sfreccia via veloce, compiendo una stretta virata, la prua verso il mare libero, mentre la Santo Stefano continua a sbandare sotto la pioggia d’acqua salmastra. Uno dei caccia di scorta avvista l’imbarcazione italiana, accosta bruscamente , le macchine al massimo, avanti tutta, e con rabbia si lancia all’inseguimento del MAS. Piomba nella scia di Rizzo, a poco più di 100 metri di distanza e comincia a far fuoco.
Dirà Rizzo nel suo rapporto:

RIZZO
Il cacciatorpediniere alla mia sinistra, accortosi del lancio, dirigeva per tagliarmi la ritirata , riuscendo , ad evoluzione compiuta dal MAS, a mettersi nella mia scia, ad una distanza di 100-150 metri. Apriva il fuoco con un solo pezzo, con colpi ben diretti, ma leggermente alti, che scoppiarono di prora.

NARRATORE
Gli altri cacciatorpediniere non riescono a comprendere l’accaduto, ma si serrano, lanciano bombe di profondità attorno alla nave ammiraglia colpita a morte.
“ I sommergibili, i sommergibili!”, grida qualcuno dalla Santa Stefano.
Nessuno pensava che fossero ancora una volta quei piccoli grandi nemici invisibili e inafferrabili , i MAS , che erano riusciti ancora una volta a creare grande scompiglio e panico nella squadra navale imperiale.
Anche il MAS al comando di Aonzo sgancia i due siluri a disposizione contro la “Tegethoff”, ma gli stessi affondano prima ancora di raggiungere il bersaglio.

VOCE F.C.
Bordo della Santo Stefano. Ore 5.10.

NARRATORE
Lo sbandamento cresce di minuto in minuto, ad uno ad uno i suoi compartimenti vengono conquistati dall’acqua. A bordo ora è tornata la disciplina , ma c’è ancora sbalordimento, incredulità, sgomento. La nave s’inclina di minuto in minuto , di attimo in attimo. Il Commodoro Seitz , pallidissimo e muto, è rimasto in plancia.

AUTORE
Cos’era accaduto , Tenente Titz? Ce lo può spiegare?



TITZ
La prima esplosione schiantò la “Szent Istvan” tra i due fumaioli , il secondo siluro colse la carena tra la poppa e il fumaiolo poppiero, in concomitanza con il locale delle caldaie. Furono subito fatte fermare le macchine e seguirono scene di panico. L’Ammiraglio Seitz diede ordine a noi Ufficiali di sparare su chiunque avesse abbandonato il suo posto di bordo. Ciò per evitare che il disastro s’aggravasse ulteriormente a causa delle prevedibili scene di terrore da parte dell’equipaggio.
Ma non ci fu bisogno di nessun intervento da parte nostra.
I marinai dimostrarono un coraggio e una disciplina esemplari , nessuno perse la testa.
L’Ammiraglio tentò di mantenere la nave in linea di galleggiamento , fece rimettere in moto le macchine e chiese alla “Tegethoff” di venirlo a prendere a rimorchio.
Ma ormai era troppo tardi, le paratie stagne cedevano, la quantità d’acqua imbarcata divenne presto enorme . Alle cinque e venti del mattino, Seitz comandò che venissero calate a mare le scialuppe e dichiarò l’abbandono nave.
L’estrema agonia della “ Szent Istvan “ cominciava in quell’istante.
Il cappellano benedisse l’equipaggio e i marinai con il cuore stretto inun amorsa d’angoscia risposero tutti in una sola voce: “Hurrà!”


VOCE F.C.
Bordo della Tegetthoff . Ore 5.55

NARRATORE
Dalla corazzata “Tegethoff” , i marinai assistono muti e immobili alla tragedia. Vedono il lento scomparire della Santo Stefano alla luce di un mattino crudelmente luminosissimo. I marinai della nave ammiragli morente si lanciano dall’alto delle murate , toccano l’acqua con fragore , poi cercano salvezza e soccorso. Le scialuppe s’allontanano rapidamente dal luogo della catastrofe.
Sono le 6.05 del 10 giugno 1918, quando la corazzata scompare , inghiottita dalle acque di Premuda in un immenso vortice gorgogliante di flutti.
I marinai della Tegethoff guardano esterrefatti e commossi . Piangono. L’Ammiraglia non c’è più. Non sanno che fare. Uno di loro si leva il berretto, un altro lo imita. Allora pian piano tutto l’equipaggio della corazzata superstite si leva il berretto e urla in una sola voce: “ Hurrà!”
Il Commodoro Seitz , da bordo della Tegethoff , dove si era trasferito, telegrafa ad Horty la notizia del siluramento e dell’affondamento della corazzata. Nella sciagura oltre cento marinai austriaci avevano perso la vita e circa trecento erano i feriti.


VOCE F.C.
Ricordo di tutti gli scomparsi in mare.

AUTORE
Anche la flotta italiana aveva perduto due corazzate , la “Brin” e la “Leonardo”, entrambe sabotate nei porti di Brindisi e di Taranto nel settembre del 1915 e i morti erano stati complessivamente più di settecento.

Ecco come ricorda tutti i marinai scomparsi , di qualunque epoca, di qualunque nazione, razza, religione essi appartengano, in qualunque latitudine essi abbiano trovato la morte, uno di loro, un sopravvissuto :

1^ VOCE RECITANTE
Se come nelle guardie sul ponte mi apparite
perché, amici, siete muti con me?,
il vostro compagno di guardia, tanto tempo fa…

Voi che sul mare tenebroso
alzavate così chiare le vostre voci
bastioni sonori quando cantava la tempesta
issando la vela di fortuna risuonava
sul mare il vostro coro partecipe
“ La vita è tempesta, tempesta sia!”

2^ VOCE RECITANTE
Ogni cosa per voi era frutto del destino,
la guardavate come bambini voi che
misuravate sulle vostre palme il mare
e non eravate troppo legati alla vita,
voi che le vostre vite tenevate in mano.
Oh, la memoria non è stata leggera, non si è
sbarazzata di voi, non vi ha perduti
come motivi inutili , dimenticati,
né il cuore insuperbito ha cercato
l’accordo su altre musiche, ma numerosi
qui accanto, senza mai invecchiare
- la vostra innocenza vi mantiene giovani –
come marea che penetra le insenature, o corrente,
voi venite , voi mi visitate, e sembrate
affiorare da un mare di volti stranieri
innumerevoli tracciati dalla memoria
per avvilupparmi in un sogno…


1^ VOCE RECITANTE
E dove siete, voi marinai soldati
se ora nessun tamburo rintrona a quartiere
sui deserti delle acque di mezzanotte
- quando un nemico affiora dalle spume –
con la vostra lanterna di passerella, lampeggiante
cercherete inutilmente di scrutare in basso
quando, chinati dalla plancia baluginante,
un fratello vedrete inabissarvi nel buio?

2^ VOCE RECITANTE
Ma voi , compagni d’arme, squassati
In vele perforate, se nella lunga veglia,
nel fondo mai più il grido” Tutti alle vele!”
potrà spezzare l’incanto che ammalia il vostro sonno
e le trombe che adunano alla battaglia suoneranno invano

e invano imploreranno i cannoni tuonanti
un battito, un battito di cuore nel grumo del cuore
batte e chiama. Ma per fermarvi,
aggrapparsi, fissare sempre,
vedervi alla vela maestra
sentire, ancora una volta, il vostro coro!


VOCE F.C.
Quartier Generale dell’Impero Austro-Ungarico.




NARRATORE
Horty è incredulo, esterrefatto, annichilito. E’ la fine del suo piano, è la fine di tutto. Riferisce a Carlo d’Austria e ai Capi di Stato Maggiore, poi, nel pomeriggio invia la sua risposta a Seitz:

HORTY
L’azione non verrà eseguita. Rientrate a Pola con tutte le unità.




NARRATORE
Due ufficiali del controspionaggio austriaco saranno messi al muro, accusati di aver tradito e aver trasmesso all’Italia i dati sull’attacco a Otranto. Erano innocenti. Né i servizi segreti francesi, né quelli italiani sapevano nulla del piano di Horty.

VOCE F.C.
Londra. Ammiragliato.

NARRATORE
Da Londra il comandante in capo della “ Grand Fleet”. Ammiraglio David Beatty telegrafa subito a Thaon di Revel:



BEATTY
La Grand Fleet porge le più vive congratulazioni alla marina italiana per il magnifico risultato conseguito con tanto valore e audacia contro il nemico austriaco.


VOCE F.C.
Acque di Premuda . Ore 5.20

NARRATORE
Il MAS 15, dopo l’affondamento, continua a fuggire inseguito dalle rabbiose cannonate del cacciatorpediniere austriaco, tutte ben dirette, ma sempre un poco alte per quel diavolo di Rizzo, che sembra invulnerabile.
Il MAS 15 sfreccia sotto una pioggia d’acqua calda e lo scroscio delle granate.

CANNONIERE VARCHETTA
Sparo, Comandante?




NARRATORE
Alla richiesta del suo mitragliere, aggrappato alla sua arma, Rizzo scuote il capo: il fuoco degli spari avrebbe permesso ai cannonieri del caccia di aggiustare la mira. Il comandante dà ordine al suo timoniere:

RIZZO
Continua così! Teniamolo nella nostra scia…Fuori una bomba di profondità.
NARRATORE
La grossa bomba schizza in alto e ruzzola in mare. Rizzo la vede ondeggiare, mentre il caccia continuando la sua corsa dirige diritto su di esso.

CAPO GORI
Non è esplosa, comandante!

RIZZO
Fuori l’altra!

NARRATORE
La seconda bomba cade in acqua e stavolta scoppia a pochi metri dalla prua del caccia austriaco che smette di sparare e accosta, rinunciando all’inseguimento. Precisa Rizzo nel suo rapporto:

RIZZO
Esso accostò immediatamente di novanta gradi ed io, con accostata a sinistra, ne aumentai rapidamente la distanza perdendolo poco dopo di vista.





NARRATORE
Il MAS 15 , seguito dal MAS 21, in breve s’allontana. Pochi istanti ancora e le due imbarcazioni italiani non sono che due piccoli punti sul mare.

Quando ormai sono del tutto fuori pericolo, continuando a navigare a tutta forza verso il largo, Rizzo e i due equipaggi dei MAS traboccano di orgoglio e di fierezza. Sanno di aver compiuto una grande impresa. Sanno di aver affondato una grande nave da battaglia, ma non sanno di quale nave si tratti, se la Santo Stefano o la Tegethoff. La loro gioia è muta e tuttavia irrefrenabile.
Per Rizzo è la seconda corazzata austriaca che manda a fondo , in solo sei mesi
Lancia verso il cielo tre razzi bianchi e uno verdi. Il segnale significa: “ Ho silurato una nave”.
E’ ormai l’alba piena del 10 giugno 1918 e nel cuore di tutti i marinai che hanno partecipato alla grande impresa:
Capo timoniere Armando Gori
Cannoniere Giorgio Varchetta
Fuochista Salvatore Annaloro
Fuochista Giuseppe Decano
Torpediniere Eraldo Bertucci
Marò Letterio Donato
Marò Francesco Bagnato

imbarcati sul MAS 15

Guardiamarina Giuseppe Aonzo
Nocchiere Luigi Rossi
Cannoniere Quirino Captano
Torpediniere Bruno Santarelli
Torpediniere Lorenzo Feo
Fuochista Giovanni Callipari
Fuochista Ugo Tomat

imbarcati sul MAS 21

nei loro cuori di marinai fiorisce spontanea una muta preghiera di ringraziamento.

A te , o grande eterno Iddio,
Signore del cielo e dell’abisso,
cui obbediscono i venti e le onde,
noi, uomini di mare e di guerra,

Ufficiali e Marinai d’Italia,
da questa sacra nave armata dalla Patria,
leviamo i cuori.

martedì 25 novembre 2008

Daniele Paladini eroe salentino



1. E morto per difendere un ponte, il “suo” ponte che aveva smontato , aggiustato, ridipinto, rimesso a nuovo, era un mese che ci lavorava a quel vecchio ponte abbandonato dai sovietici , a Paghman, un villaggio dell’Afghanistan , a soli 15 chilometri dalla capitale, Kabul , quel ponte che si doveva inaugurare proprio quel giorno dinanzi alla popolazione e alle autorità locali.
«Non era uno che si tirava indietro» , dirà lo zio Giovanni Stefanizzi, “ e non lo ha fatto neanche vicino a quel maledetto ponte”.
Ma un ponte non è mai maledetto, è qualcosa che unisce, affratella, accomuna, anche quando le sponde opposte da ricongiungere sono infinite e infinitamente lontane. E’ un’opera architettonica dal lungo corpo composito, cemento, legno, metallo, con una sua anima. E questo lui lo sapeva bene , perché su quel ponte c’era la sua anima , il suo “genio” di “pontiere” straordinario, uno che sapeva costruire ponti come archi di pace , ma col rischio costante e consapevole della vita perché da sempre c’è chi i ponti li distrugge , li vuole far crollare , da sempre i pontieri del genio militare muoiono negli incidenti di cantiere perché gli elementi dei ponti sono grossi, pesanti e definitivi, basta un errore o il cedimento di un elemento e si muore. Una vita , la sua , irripetibile , devastata , spenta da un kamikaze, una bomba umana frutto dell’odio , ma anche della miseria .


2.Si è spento così il Maresciallo Capo Daniele Paladini , uno che amava la vita , con umile grata e diuturna passione amava quella la vita preziosa che gli era stata data da una donna salentina , buona e dolce come un fico maturo, ma forte e indomita come una roccia del suo mare ; Daniele aveva il sorriso buono e pieno di meraviglia della madre , e la fantasia , la poesia di un costruttore di ponti , che uniscono i villaggi, i popoli , le nazioni , uno che solo poche ore prima aveva detto alla moglie , alla figlioletta e alla madre , State tranquille e serene , qui è tutto placido , rischiate più voi col traffico sulle strade che io in queste contrade deserte ; e poi ho pochi giorni ancora da restare , per le feste sarò con voi , e faremo meraviglie , perché voi siete meravigliose , e solo la meraviglia ci potrà salvare . Invece è venuto prima, Daniele , dentro una bara ricoperta dal tricolore , è morto nella sua stagione più bella, a soli trentacinque anni, questo nostro soldato pieno di sogni e di dolcezze della vita, un ragazzo tenero, incapace di far male ad una mosca, ma era un soldato pieno di dignità , di orgoglio, e onore.

3. "Il mondo è pieno di soldati. Ma i soldati veri, quelli sono pochi. E Daniele Paladini era un soldato vero, un soldato eccezionale”, dice il Colonnello Di Fonzo, comandante del contingente di Kabul . Nel senso buono, positivo del termine, che implica disciplina , lealtà, fierezza, spirito di sacrificio , orgoglio, amor di patria , termine caduto in disuso, anzi quasi sbeffeggiato, ma che in lui aveva ancora un alto significato. Daniele era tutte queste cose , e per capirlo basta guardarlo in faccia , guardate quella sua faccia pulita , intensa , bella , faccia salentina alla Don Tonino Bello , all’ Aldo De Donno, per restare ai nostri tempi , metà santo e metà guerriero, con un sorriso luminoso, un sorriso pieno di meraviglia , un sorriso buono. E poi lo sguardo profondo , che era un incendio azzurro. C’era tutto in quello sguardo , il passato e l’avvenire , il cielo e il mare della sua terra d’origine , Lecce, il Salento. E la storia di quell’antico popolo abitava dentro di lui, i messapi , domatori di cavalli, ma anche quieti pastori, ceramisti, contadini, pescatori , poeti. E guerrieri , anche, ma per necessità, per difendere la propria famiglia, la propria gente, la propria terra. Lui è morto per difendere un ponte, il 24 novembre 2007 , il giorno stesso in cui gli italiani riconsegnavano quel ponte , da lui rimesso a nuovo, alla popolazione martoriata di Kabul.… Era lì in attesa delle autorità, della folla dei civili, degli altri soldati , quando ha notato il terrorista che cominciava ad avvicinarsi lungo il greto del fiume , nascondendosi grazie ad una fila di alberi . Il suo obiettivo era colpire i civili e i soldati della Nato.


4. Daniele gli è andato incontro , gli ha intimato l’altolà, ma quello non si è fermato , ha fatto un passo ancora e si è fatto saltare in aria» , dice il comandante di Italfor. E insieme a lui altri nove morti civili, tra cui tre bambini e tre soldati feriti italiani. La strage è avvenuta alle 9.52 locali , le ore 6.22 in Italia, quando la moglie, la figlioletta e la madre venivano svegliate di soprassalto. Daniele non era un eroe per caso , come è stato scritto su qualche giornale, e neppure un eroe normale, come dicono le Istituzioni , a partire dal premier e dal Presidente della Repubblica, per il quale sono tutti eroi in nostri soldati in missione di pace. Ma non è così. Daniele era un eroe per vocazione, oserei dire per destino, fatalità, o ancora di più, per un’idea stessa di eroismo che ci formiamo nella mente e che viene da lontano , dall’antica Grecia di Omero insieme alla musica e alla poesia, al canto caldo che fanno i cieli rossi dei tramonti pieni di solitudine e malinconia. Era, insomma, un eroe umile, un eroe salentino, pienamente cosciente di quel che faceva e dei rischi che correva, a cui non poteva e non voleva sottrarsi.

5.Alla radio, in macchina, quando ho appreso la notizia, che un soldato italiano era morto in Afghanistan nel tentativo di bloccare un kamikaze, il nulla si è fatto angoscia , e il vecchio cuore ha cominciato a battere all’impazzata. Ancora prima di conoscere il nome della vittima , io sapevo che si trattava di un salentino, ma di quelli buoni ( ahimè , purtroppo ce n’è anche di cattivi, altrimenti la regione non sarebbe com’è) , che io conosco e so che sono straordinari, unici, irripetibili, uomini che sanno fare bene le cose che non esistono , ovvero le missioni di pace con tutto lo strascico di imperante retorica. Non esistono, ma sono capaci di inventarle quelle cose , al di là dell’opportunismo politico , o del bieco cinismo affaristico , con la fantasia e soprattutto con la fede, sono uomini capaci di credere in ciò che fanno e lo fanno bene, con passione, con amore , con grande senso del dovere e di umana solidarietà. Era un uomo gentile , con un cuore dolce, che faceva il soldato , uno dei tanti salentini che per affermarsi devono emigrare al nord, Seregno , o Novi Ligure , devono combattere, rischiando la vita dove c’è maggior pericolo , in Kosovo, o in Afghanistan , uomini che muoiono giovani, com’è nel loro destino, lasciando nel lutto una famiglia , una città, una regione, una nazione, l’ umanità stessa , sempre in cerca di nuovi costruttori.

6.Dice il Generale Fabio Mini, ex comandante delle forze Nato in Kosovo, che Daniele Paladini è morto da Eroe perché si è sacrificato coscientemente salvando altre persone e combattendo corpo a corpo con un nemico armato. Per tutto questo l'esercito e l'Italia sono orgogliosi di lui e dei suoi compagni. “Ma Paladini – aggiunge Mini - è morto anche da Soldato Nuovo: da soldato che ha adottato un modus operandi selettivo, che è in grado di osservare l'ambiente, di capire l'avversario e che sceglie coscientemente d'intervenire sul singolo piuttosto che sparare nel mucchio. E per questo la morte di Paladini è ancora più dolorosa e amara. Un Eroe è sempre una persona eccezionale e il vuoto che lascia è incolmabile, ma perdere in Afghanistan un Soldato Nuovo che agisce come un Uomo tra uomini è una vera tragedia. Per tutti.

7.Il Salento vomita morti, diceva Carmelo Bene, e si riferiva non solo ai martiri di Otranto , dimenticati dalla storia dell’Italia ufficiale, ma a tutti quelli che considerava i martiri di oggi, appunto il forte contingente di salentini che s’era arruolato nella polizia, nei carabinieri, nelle forze armate , salentini che ora si ritrovano ovunque , in terra, nel mare e per i cieli, fratelli di sangue , carne da macello, ma anche costruttori di meraviglie e di pace.
Il maresciallo Paladini non è la risposta a chi si chiede “ che cosa ci stiamo a fare in Afghanistan?”, come scrive Vittorio E. Parisi sull’ “Avvenire”. No, è morto solo per difendere un ponte; era il suo dovere, la sua vocazione, il suo destino, su quel ponte ha visto per primo, ha intuito per primo ( altrimenti non sarebbe morto) quel che stava accadendo, ed è andato incontro a quell’attimo definitivo, che è di coraggio , di desiderio, di verità, forse di gloria.

sabato 15 novembre 2008

Terra lieve che di colpo si fa pietra






1.Terra lieve che di colpo si fa pietra
Pietra aguzza nera con linee aspre
Aspri fiori gialli spinosi carichi di sole
Sole pietra implacabile ed estrema
Ti lacera un grido ad un tratto
Mentre una raffica di siepe uccide
Una notte tessuta di silenzio
Logica che si frantuma davanti al mistero…

2.Ma se svolti l’angolo ecco il mare
E l’improvviso mutare delle cose
Occhi di mare nei cortili dei gerani
Tra le mani maschie che strappano vesti
Di fanciulle vestite di lava e di fuoco
Strade di occhi che non ti lasciano mai
Cieli tra muri chiusi che respirano a fatica

3.Il sesso spinge
Il sesso opprime
Il sesso è un velo nero sotto il sole
Il ficodindia spinoso che nel fondo
è dolce morbido alla fine senza difese
E’ l’omertà degli arabi
Che lega avvinghia abbraccia
Ghermisce soffoca uccide




4.Qui veniva Cristo coi dodici
Veniva con la sua barba bionda
A spezzare il pane e contare parabole
Sotto gli ulivi saraceni
C’è ancora la sua luce
Non distruggete questa luce
Geometria dell’esistere

5.Funerale di colpe antiche
Qui tutto è di passaggio
Viene va muore e rinasce
Radici aeree e luoghi lontani
Nostalgia che batte nel sangue notturno
Tutto è provvisorio
Tutto è in fuga
L’olivo saraceno si contorce al sole
Freme al vento con nodi antichi
Per dare tutto di sé
Il Ficus dell’india
Che si chiude nella sua dignità

6.Le gelosie dei balconi in ferro
E delle finestre scolorite
Ridono di te
Ridono di te
Occhi incupiti dalla cenere
Fuoco di rabbia nel sangue
Il sangue diventa lava
Carciofi violacei
Con spine lance contro il cielo
Grovigli di ferocia
Primo grido offeso
Uncino con strappi di maglie nella rete
Polvere dell’esistere sospeso
Forse perché in certe ore
In certe ore
Verso l’ultimo lido c’è solitudine
La solitudine fila verso il mare
Verso il mare
Verso asciutte sfere di luce

7.Il cielo chiaro
Il sole pietra
La Madonna nera
Con le mani e le lacrime di cera
E le madri madonne
Madri imploranti
Sotto quel cielo




8.Nausea viscida
Nausea all’alba
Ritorno al grigio
Al grigio grigio
Per spegnere il candore dei fiori
Annullare il barocco che opprime
Le curve che si muovono
La pietra ineguale
I balconi giardini chiese palazzi
Le curve celesti dell’orizzonte
I peccati della carne
L’ odore di carne e di cera
I garofani e le colonne tortili
Baldacchini di opulenza
Polvere del tempo


9. Noi siamo antichi
Noi siamo nodi antichi
Le mammelle delle zitelle fatte d’autunno
E le primavere tra le cosce delle ragazzine
I sogni verginali sospesi a un niente
Il tesoro della purezza che si sgretola
Ad un ricamare di corredo
La dote amara delle zitelle
Dalle mammelle avvizzite
La vita se ne va
La vita se ne va
La vita se ne va

10.Onde incupite
Luna d’infanzia
Lunghe malinconie
Il lento ritmo del tempo
Strade piene di cielo
Suono-nenia e la nostalgia dell’oriente
Filare circolarmente ad est
Verso est
Mare sottovento
Mare che strabocca
Furore di bandiere
Sui bastioni
Della terra d’Otranto

11.Per investire nell’essere
Bisogna Raspare il cuore
Il cuore
Il cuore