martedì 28 ottobre 2008

Penelope




Bella.

Gentile e forte come Penelope.

Bella.

Anche tu siculo-greca come lei.

Bella.

Anche tu onesta paziente e fedele
Con una specie di fragilità vitrea
E il germe di un poema che celasti nell’intimo.

Bella

Anche tu con il pensiero profondo dell’angoscia
Di saperti condannata al distacco
Imminente .
Irrevocabile.
Definitivo
Sotto un cielo
Gravido di polvere biancastra

Bella

Gigi Scorrano



clic!

ecco i giorni e le parole
di luis scorrano da tuglie
colui che è l' ora , il dove e il quando
e il fremito dell'aquilone
colui che faceva squillare
l'aquilone in ciel
con grida da fanciullo
e poi ammazzava passeri con la fionda
- il sole in faccia e il vento -
poi li squartava
per veder com'era fatto
il loro cuoricin d'argento
colui che faceva innalzare il suo sogno
fino ai campanili,
intagliando fioriture bizzarre
e metteva serpi e tarantole
nelle tonache dei preti
per ridere come un pazzo
nei limpidi mattini d’estate
colui che navigava le città
con navi da corsari
piene zeppe di fundador e marijuana-
e liete sirene che cantavano
colui che agitava i suoi rosei diti
per dissipare ombre
di fanciulle che esibivan
tremanti grazie e rami in fiore
e il conto esatto del loro tempo.

clic!

Marco Pantani


Ode a Marco Pantani


Addio , Marco,
ultimo partigiano Johnny
delle nostre montagne
ultima paga del sabato ,
ultima primavera di bellezza
ventitreesimo e ultimo giorno d’Alba
con il casco nella selva
e la gobba d’oro
e il tuo volto da clown triste.
Con te se ne va l’utopia colorata
di rosa o di giallo
la fatica ossessiva e bestiale
che diventa mazzo di rose rosse
volo fuga infinita verso il cielo,
tu sei l’equilibrista dolcissimo

e crudele
del nostro destino
che chiude un ciclo
una storia
e un tempo irripetibile.
Era un ragazzo come tanti ,
con un sogno grosso così dentro.
Prese la bicicletta
e s'inventò le salite dov’era tutta pianura ,
e poi le curve - non quelle molli e rosacee
delle ragazze di Romagna
ma secche come una frustata di squaw ,
o le discese degli indiani
E le simmetrie degli abeti e dei mirtilli
tra la neve.

Ahi, Marco Burdel!
Sto qui come un orante
che ritaglia la mano dall’aria
per farti tornare a quel tempo
di assalti esaltanti e pericolosi
quando nel luglio infernale
stavamo svegli sul lettone
ad aspettare che tu
con il duro rapporto
e la forbice degli occhi
avresti mozzato le dita
e le ruote
a tutti
sull’ultima divina salita
sull’ultimo grido
lo sbigottimento
e il bacio feroce
che faceva rollare i pedali
e t’apriva rughe profonde
sulla fronte vittoriosa
il ghigno
che ci faceva restare tutti senza fiato
incollati al televisore

ignari e sospesi
tutti a pregare
– anche gli atei convinti –
– con le mani giunte, senza fiato
davanti a quello schermo pieno d’angeli
a quell’eden e inferno
in cui Adriano Dezan
coll’ape e il trifoglio pieno di lacrime
e il Gianni Mura grasso sudato
con la nera barba fenicia
e il volto tenero e duro
Ti cercavano
Ti pregavano
E dicevano col groppo in gola:
Marco oh Marco
se non ci fossi tu
che ciclismo sarebbe?
E ora?
Siamo tutti orfani senza di te.

Anche le salite hanno nostalgia
della tua bandana rosa e di quella musica,
di quell’ouverture da mille e una notte ,
terribile e splendente,
e anche le ultime aquile
e le ginestre che stanno vicino al cielo
sono condannate alla tua assenza.

John Wayne



A John Wayne

Si dice che nulla sapesse dei nessi
tra tragedia , morale e metafisica.
Prese il cavallo e s'inventò
l'algebra degli indiani
E poi le simmetrie colorate
degli aranci, dei limoni
e dei frutti maturi della California.
Amigo , gli disse John Ford ,
con l'occhio prismatico:
tu sai che io lavoro sui vetri ,
sugli specchi e rifletto la prateria,
il coraggio e l'ultima frontiera.
OK, disse John, io respiro, magno,
fo' l'amore , de mejo nun c’è :
vado a cavallo , e puro a messa ,
canto cor coro, so’ un bravo regazzo;
ogni tanto ammazzo un po' d'indiani,
è vero, ma quanno ce vo’, ce vo’.
Al vecchio decompositore di aloni
fiori freschi e frutti marciti , stava benone.

E fu subito “Ombre Rosse”.
E le ragazze americane “uscirono pazze”
per John ( Ahi, John, ahi , John ,
lo sognavano la notte
e si lisciavano la passerina )
e cominciarono a scuotere
le loro trecce dalle finestre
a spandere odori di mimose
e di rose lungo le strade polverose.
- Ieri ho piantato un salice nel ranch
e gli ho dato il tuo nome, Jane,
diceva John alla prima ragazza
fatta dolcezza d'amore e tutto si mostrava
(si ergeva – sul cavallo –) dalla cintola in su ,
con l'argento del cinturone
che gli grondava sui fianchi e sui lombi.
Poi venne la notte , un chiarore
che scolpiva vittorie
tra i nascondigli e gli spazi grigi scroscianti
i mezzogiorni di fuoco, i dollari d'onore,
e poi la grande panza del Grinta
dall’occhio guercio,
lo dovevano issare sul cavallo con la gru
il vecchio John
e ancora il vitreo battito degli zoccoli
del cavallo sfiancato
dalle sue duecentosesssantuno libbra di carne .
Ahi, John! , ahi, John!, Ahi, John,
è l'ora che disgiunge sogni e pene
siamo all'ultimo chiarore ,
alla nubile notte
che non potrà essere fecondata
dal tuo seme guerriero,
fiore pallido di brace;
affondi nelle distanze,
nessuno più ti chiama ,
nessuno aspetta
e la tua pistola è tutto un tremore.
Ahi, ahi, John!,
un cancro al polmone ti segna il tempo
i tuoi giorni son contati ,
nella solitudine, nel suono delle voci,
nella trafila dei gridi : i sioux e gli apaches ,
i mascaleros e i sciosciones
fanno ressa lungo la pianura
E' un cancro che ti porta via
lo specchio, il prisma e la luce.
E allora tanto vale farne un film.
L’ultimo film da pistolero.
Addio, John… e che la terra ti sia lieve .

mercoledì 1 ottobre 2008

Il grido dei poeti





I

qui il vento del deserto non ha canti
e la musica è lamento
ogni porta si chiude sul tramonto
è l'ora dello sguardo fissato contro il muro
poi si rientra nella stalla
la speranza è la notte

II
all'alba i mari striati di verde
gonfi di storia dimenticata
e i castelli diruti
e le torri di vedetta
le campagne bruciate
gli ulivi laminati d'argento
inerpicati sulle rocce delle serre

come guerrieri polverosi
e i caseddhri
di pietra grigia chiara
ornati dal basilico
i canti griki dei carrettieri
e quelli neri
delle raccoglitrici delle ulive
i canti rossi
delle vendemmiatrici
e i canti gialli
delle raccoglitrici di tabacco
in una teoria di terrazze
e corti
con i mignani
e i vasi di geranio
e la salsa rosso-cupa
delle feste comandate
il gorgoglio dei mosti
e l'odore acre delle vinacce

III
oh, la salacità
dei barbieri cerusici cartapestai
le annose polemiche ai tavoli di caffè
l'ultima poesia di Sinisgalli
l'ultima stroncatura di Bodini
l'ultimo saluto alla stazione
sul treno che partiva (vuoto)
soltanto per te
ecco i fanciulli che nascono dicendo
ahi!
e il sangue delle lune borboniche
che sgorga melenso
e s'interra negli scantinati
la vecchia dal mento di creta
che scende i gradini della cattedrale
e le lame gialle e viola che feriscono
il cielo a occidente

IV
ecco tutte le nostre macerie
che ci portiamo dentro

nei night di roma
tra memorie di filetti di cavallo
e vino rosè
di nostra signora dei turchi
noi abbiamo abitato l'anarchia
e tuttora bruciamo
dentro empi e miscredenti
come giordano bruno
e giulio cesare vanini
anche comi bodini pagano
verri toma e carmelo bene
continuamo a bruciare
ora che abbiamo passato l'età
degli enfants prodige
e rimaniamo solo prodige
con la barba brizzolata
e la panza che avanza

V
chi di noi ha tradito?
tutti abbiamo tradito ,
certamente

perchè volevamo
una città immutabile
una città morta
e senza più dei
quella stessa
che avevamo lasciato tanti anni fa
con le quattro colonne intatte
e i venditori di droghe
(quelli che venivano da smirne
lungo la via della seta,
non quelli dei campi di papaveri)
con gli artigiani nelle strade
e le forge in bottega
col circolo culturale
ridicolo e muffito
e l'università tutta da ridere
una università di carta


VI
ma dobbiamo difenderci pure
in qualche modo
e allora diciamo
che è la città ci ha traditi
la città è femmina mutevole
e così poniamo fine
alle nostre polemiche
senza capo nè coda

VII
noi siamo il risultato raro
di prodigi contaminati
che ci hanno resi
cittadini del mondo
perchè non abbiamo più baricentro
siamo un moto perpetuo
e passiamo
dal fico al melanzano
dal roseto al baobab
dall'albero delle mosche

all'albero del pane
dal bambù al cactus
con naturalezza assoluta
quasi con pervicace
predisposizione

e la carezza del duce
dove la metti?


VIII
sì, lo sappiamo, il sud è
la terra del rimorso
per noi artisti scrittori
giornalisti scienziati
per noi scriba parassiti
e altro ancora
il sud è la terra dei minori
sempre in attesa di essere
riconosciuti più grandi
ma bisognerà
pur riscriverla la storia
prima o poi



IX
bisognerà far capire
che la nostra
è una fatica immane
a rimanere quaggiù e
a gridare nel deserto
in attesa che ti taglino la testa
per le grazie di una salomè
scusate, ma uno
si deve pur incazzare
se pietro micca è sui libri di testo
perchè saltò in aria
facendo il suo dovere di soldato
e ottocento martiri otrantini
che si fecero decapitare
resistendo ai turchi e all'islam
stanno a malapena
sui libri di memorie locali
o no?

X
è che siamo
uno a ottocento tra sud e nord
questa è la giusta proporzione
sia nella storia che nell'economia
sia nella scienza
che nella civica educazione
e anche nel successo
e nel mercato
e nell'espansione del pensiero
e nel valore tout court
della latitudine e pelle
abbiamo perduto tutto
e in tutti i campi

XI
ci rimane forse la poesia
che è la lingua dell'allegoria
che copre i misteri della natura
e le più sublimi
concezioni della morale
con un pudico velo
ci rimane dunque
la lingua dei fanciulli
e degli dèi
il segreto magico
la sua forza e l'incanto

ci rimane la
poiein
poiesis
phohe
(la bocca, la voce , il linguaggio)
e ish,
(il soffio del dio sconosciuto)

XII
ci rimane il grido dei poeti
sulla pagina ancora non scritta
sulla pietra e sul metallo
sulla tela ,
tra le formule fisiche e chimiche
fra la gente
nel mondo che s'incontra
in ogni città libera da bandiere
ci rimane quel grido dei poeti
che forse può ancora salvarci.