martedì 30 settembre 2008

Agata




AGATA
(quasi un poemetto)



1.
Le sue torri erano piene d' angeli invisibili
che circolavano torno torno alle mura
Questa e' la citta' del sacrificio
dove il sangue scorre precipitoso
verso la morte.
E tu sei la mia Beatrice celeste, disse Lui.
E Agata :- Mi hai baciata in tutti i luoghi del mondo
ma non mi ha mai baciato entro lu mare .

Percete?
Te face schifo baciarmi intra lu mare?
Ed ecco che il mare si protese subito verso di lei.
E anche il vento l'abbracciò tutta .
Poi presero tutti e due a urlare

e gettarsi contro la sua stanza
Lei odorava di sole di onde ,

di cielo , di vento aperto
si lasciava invadere

e volava come un gabbiano ferito:
"le mie ferite sono antiche

e non mi fanno piu' male"


2.
Aveva cambiato anche la voce

volando volando
ma venne il giorno che non volò più .
E allora Agata morì

morì quietamente

e sembrava una dormiente.
Ed ecco la lunga teoria delle prefiche
ruotare nella corte Raggi

e intonare il pianto greco
e venne il mercante con la doppia asta

e il pirata cieco da un occhio

avanzando sotto la nebbia marrone
della prima alba d'inverno
la città s’i fermò, era irreale

3.
Scusate , ma nunn’ era d’autunno
quannu morse l’Agata noscia?
si chiedeva la gente per via
riversandosi in massa

nelle strade bianche
confondendosi con le capre
sulle soglie delle case.
Ma sai le mezze stagioni

non esistono più
e poi la barca vae e vae

e nnu torna chiui
alla spiaggia…

E ognuno rimane fisso
con gli occhi davanti

ai suoi piedi smisurati
Ogni piede è una barca senza remi
( sì, perché la povera Agata
ciàveva er quarantadue pieno.
pur dichiarando il trentasette)
i capelli di Agata guizzano
come punte di fuoco

e dai suoi capelli nascono nottole
e s'accendon gli occhi
tondi e neri delle nottole

che volano stridendo
in modo satanico.
Tornatevene alla grotta

delle Zinzuluse,

gridano le prefiche.


4
Ma nunn' era ‘na santa, Agata?
Il Vernole dice di sì,

dice che avevano trovato la sua mammella

alla Purità
una spiaggia piena di spume e ossi di seppia.
La mammella tagliata di netto,

e un quaderno giallo.
Aperto. Coi fogli svolazzanti.

Su cui c’era scritto il nulla.

Seguivano cupi silenzi
la gente fissava il quadrato di cielo
e i giardini di limoni ghiacciati nell'agonia
di quei luoghi pietrosi
Clamore e compianto dalla prigione

di San Francesco
e dal palazzo del Governatore

dove echeggiava ancora il grido
e il dolore e lo schiantodel padre :

quel cadavere l'anno scorso
l'avevano piantato nel mio giardino ,
sotto i limoni, e ora comincia a germogliare
è un cadavere fiorito
diventerà alto quanto il cielo

(nell’aria , che odore di mimose!)
non sentite che odore nell'aria?

5.
Fu allora che venne il santo bevitore
come sempre ubriaco
Stava dietro le nubi e le acque a cascate.
Venne e disse mostrando
l’urna di cristallo: qui non c'ete acqua ,
ma solo mieru
bisogna trovarlo.

Ceccazzodisci, messapo?
disse il Tarentino spartano.
Ceccazzo bisogna trovare?

Vino!, dico vino
dico vino santo , disse il santo
E andarono a svegliare i bottai fannulloni
perchè tirassero fuori il vino buono
quello che sta nelle botti di rovere
per festeggiare la morta
Nel mentre sbarcarono
i naufraghi e approdarono sulle Uccolette
- qui non c'e' strada ma solo sabbia
se noi avessimo acqua potremmo bere
ma ci son solo rocce senz’ acquadove
non si puo ' sostare ne' pensare

e rombi e granchi di rive lunari


6.
Guardala quant'è bella, la mia Agata

e' come la mia terra

e' bella d'uomini e di mare

di martirio e figure di pietra

e venne un sole di salnitro e grigio

di maestrale ancora pieno di bandiere stinte
i gabbiani si davano la mano

e le bandiere sventolavano sotto l'arco giallo

e c’era una casa nel mare, con la barche e la luna
e le barche nude che pregavano in silenzio.


7

Pregano la povera Agata , disse Irene la leccese.

Fino ad allora ci eravamo guardati in silenzio ,
Irene ed io come se fossimo stati pietre o alberi

di piazza Sant'Oronzo

Eravamo morti

ma ecco che i capelli di Agata
cominciano a crescere
e crescere sotto il velo nero
crescono ancora alla luce nuova
E di luce scintillano

balenano come acciaio azzurro

ecco rifrangere la lama dei nostri occhi
che ci accieca

ci colpisce in fronte come piuma di fuoco

mi e' parso che il cielo si aprisse

in tutta la sua larghezza

per lasciar piovere pietre e frecce

e torri sul mare
pimpinnacoli di gloria sulle vecchie mura di Gallipoli
Alè , alè, morte all’ammiraglio Marcello!
Avevo distrutto l'equilibrio del giorno

e anche Barbara l'ebrea dai capelli ricci e nerissimi
che stava con me alla Giudecca

tra nastri antichi merletti e pietre nude, disse
ch’era straordinario far l’amore nel silenzio
e s’adagiò sulla riva di una scogliera deserta
dove non eravamo mai stati

e si tolse l'ultima veste.

Già , già , ma con tutte queste pietre
come facciamo a far l’amore?

Queste lisce pietre nere , disse Irene ,
sembrano siano nate stanotte

e sudano dolore

sono pietre miserabilisono

pietre del sud
pietre terroniche

tra le piante di tabacco
che hanno visto sorgere dalla loro oscurita'

il volto divino di Agata

e questo volto che vi si chiede di vedere

nevvero?

in fondo che vi costa?

pochi centesimi e vi portate a casa
una cartolina che è la fin du monde

Ma noi veramente più che il volto

vorremmo la mammella

la sacra mammella.



8.

Entrava un odore di notte

e di fiori

ogni oggetto

ogni angolo

tutte le curve
si disegnavano

con una purezza

che feriva lo sguardo di Irene

era un lume senza splendore
in mezzo a un nido di rughe

il cielo era pieno di macchie rosse

9

Incendi e delitti
erano le nubi congiunte tra loro
da certi angoli e da certi piani
era la bellezza del tramonto
di Michele il nassaro
era il vento che ora passava

dietro la luce del faro

e portava con se il profumo della notte

e i lampi
una vernice d'acqua era sul viso di Irenela

terra color sangue

che rotolava sulle bare del sud

la carne bianca delle radici

un nido di luci e pampascioni

e gli scapeciari con i grandi otri gialli

il cielo era puro ma senza splendore
sopra i fichi d’india

hanno fatto impallidire le prime stelle
che sorgevano nella notte

il gemito e' salito lentamente
come un fiore nato dal silenzio

fu sempre suo il mare

quando i suoi occhi videro il mare

le grandi acque già lo avevano anelatoe posseduto


10.

replay

Lei odorava di sole

di onde di cielo di vento aperto

si lasciava invadere e volava

come un gabbiano ferito:

"le mie ferite sono antiche

e non mi fanno più male"

la terra color del sangue rotolava sulle bare

degli ottocento martiri

ma nessuno se ne accorgeva.



giovedì 18 settembre 2008

Totò Toma e l'anima dei cani





L'anima dei cani




Salvatore , “Toto’” Toma, da Maglie
il paese di Aldo Moro e dei Fitto
borbonici e governatori per vocazione
Un poeta barbuto morto giovane, a soli
trentasette anni ( numero inquietante e sfigato)
perché “le piazeva el vin “( qui si chiama "mieru" )
e beveva forte e scriveva versi strani
assurdamente erotici , ma d’un erotismo metafisico.

Toto’ scriveva sui muri e sugli alberi
di Palmariggi , dov'e si consumano inutili stragi
di cicale e di pini ( cicale morte , gonfie e bianchicce
pini malati di cancro e d’abbandono)
“Ci ho messo una croce/ e ci ho scritto sopra
oltre al mio nome /una buona dose di vita vissuta
Poi sono uscito per strada /a guardare la gente
con occhi diversi...”



Scrisse così e poi se ne uscì a guardare
con occhi diversi ( che guaio, caro Toma!)
Disse che non voleva rassegnarsi alla comoda
abiezione della nostra società, ma intanto procreava.
Al terzo figlio disse basta e se ne scappo’ di casa.
Andò a vivere sugli alberi come il Barone Rampante.
E amava davvero la natura e l’innocenza degli animali .
come la puo’ amare un uomo strano , un poeta strambo
come lui, ma tutti i poeti sono strambati e vedono l’“oltre”

E così raccontò la fine del mondo, a colori: amici,
figlioli (leggi: teste di cazzo),non ci sarà nessuna Apocalisse
né un film alla De Sica con Sordi la Loren e Mastroianni, no.
“... la terra si trasformerà/ in un animale
che per infiniti secoli/abbiamo violentato e ucciso
mangiato e fatto a pezzi…Essi sono là/ che ci aspettano...”

Era strambo e unico, un Rimbaud del tacco
che preferiva la bottiglia al moschetto
o un cane spelacchiato d’ Otranto
alle generazioni di nobili scorpioni del deserto.
Un giorno disse: “Rembo’ – lo chiamava fratello –
perché cazzo sei andato a morire con una gamba in cancrena?
e con una sorella incestuosa?

Non è meglio morire come al macello?
Quest’ultimo maudit italiano
lo capì – unica e sola - Maria Corti,
un’altra che amava Otranto e i cani
e non poteva veder gli intestini bianchi
di un randagio travolto sulle strade
provinciale leccesi,
né le bestie macellate di cui parla
il poeta macellaio ("Tutti in fila nudi
appena sporchi di letame
attendono la perfezionebalbettando proteste
il più intrapendente
sodomizza il compagno

davantil'urlo che si alza è solo un anticipo
/la rivoltella a pressione frena lo scandalo

Maria era una lombarda che “ L’ora di tutti”

“l’ è proprio de tott’ , anche sua.
Una che sosteneva che l’anima
i cani
c’è l’hanno ,
eccome!

Morte di una poetessa




Morte di una poetessa


I
Fu tra sabato e domenica

dopo il folle volo

in un bagno di luce

che discese nell’inferno

minore.

Disse a don Salvatore :

o lavo i tuoi piedi ,

o mi faccio puttana di strada.

Non c’erano mezze misure , per lei.

Poi , all’offertorio, prese la decisione…
In fondo , credetemi ,
fu una strana circostanza,
per una come lei ,
che era tutta luce e amore .
E anche un po’
di malinconico carnevale.

II
Era un angelo
di pietra leccese
( quelli che volano
immobili
sui soffitti
delle cattedrali barocche,
e scavalcano cieli
sempre un po’ troppo chiari) .

Era una gazza che strepita ,
allegra e malinconica
libera
fra gli ulivi sacri di Athena
Ma fu accecata da un bambino
sporco d’azzurro e di Salento
E divenne la gazza cieca
di memoria bodiniana
tenuta chiusa nell’orcio
per tutta la breve vita.

Era voce di voce ,
silenzio di silenzio,
pensiero di pensiero.



Aveva dentro di sé
schiere di santi .
e demoni ,
sempre in lotta fra di loro.

III
Vide la colonna corinzia
coi serpenti ,
che ora le s’avvinghiavano ,
candidi e feroci ,
ai piccoli seni.
Vide la Grotta della Poesia
E la luna di Rocavecchia
col suo candore.
Era sull’altare di gemme ,
corolle , insetti, profezie
e maledizioni
( sorte mia, sorte mia,
maledetta sorte!).
E il suo profilo nell’ombra
era un canto dell’Arcangelo.
che profuma di luce.
Vide con chiarezza
capì che per lei era l’ultima volta
Riascoltò intensamente la musica ,
i sospiri ,
le danze
e i fuochi d’artificio
che s’impigliavano

tra i suoi capelli d’oro
di madonna salentina.
Fece la comunione
Ma l’ostia era amara,
e i tentacoli del supplizio
sparsi sul soffitto a cassettone
( oh, il decoro erotico della preghiera ,
il ringraziamento,
la mossa finale ,
l’impronta smodata
che era di crudele pietà)…

IV
Lungo la via del ritorno
Vide bellissimi angeli
pieni di sfarzo e di armonia.
Sapevano, ma non fecero
neppure un cenno,
Erano muti e severi.

E tornò in silenzio
a casa sua , a Lecce,
in via dei Templari 13,
dove abitava , al quinto piano ,
di una palazzina
di una cooperativa di militari.

Uscì sul balcone a ripensare la sera
senza luna .
Era la partitura scenico-teatrale
della sua ultima rappresentazione.
All’una e trenta precise
ebbe l’ordine (dall’alto,
o dal basso?)
Ecco l’anello d’oro, l’organo ,
le canne di Bach
che esplodono come
torrente d’oro e di fuoco
l’estensione dell’anima sbendata ,
e poi l’amante distratto


il suo Icaro che non s’accorge
il poco peso ,
il poco vento
le ali di cera ,
la nera memoria
e la malinconia
di una strega stonata
che sfila il suo manto .

V
Si lanciò nel vuoto
come una vela ,
per il “folle volo”
(- gonna lunga , cappello rosso
e assenza di vento
17 anni appena la piccina,
coi libri in testa
e la cieca memoria
di un avvenire da Alice barocca)
Un mondo di figure estreme
il suo ,
metà giglio e metà fico d’india ,
un angelo sigillato
di inquietante quotidianeità .
Aveva profetizzato
la sua tragica fine:
“Volli la fine delle streghe volli” ,
ed ecco il suono dell’organino
e la grande giostra attorno
alla sua bara di garofani,
con i canti i fuochi le danze ,
i pianti e l’inferno grigio ,
l’inferno minore ,

da Beatrice minore ,
Beatrice tragica
del Tacco d’Italia.

La Nico a Madrid è piena di sangue




1. A Madrid , la Nico è piena di sangue sui vetri:

"la vita è la vita/ ed è la cosa più grande"

E chi la porta via / porta via tutto..."


2. A Madrid , la Nico è in un giorno grigio d'angoscia
”non la grande casa in cima alla montagna/
con corone e medaglie/che occupano gli scaffali...
non i lunghi viaggi/ in terre e città lontane/nè le strane persone /
che vi incontriamo...nè la pioggia sul tetto /
nè la grandine sulla finestra/ né la neve o la luna / e nemmeno la luce stessa /
Non è solo questo la vita./
La vita è la vita, / ed è la cosa più grande ;
chi la porta via / porta via tutto"


3. A Madrid , La Nico è dentro un sogno caldissimo di Atocha
No, Nico, - ha ragione Fajardo- non bisogna farsi annichilire il pensiero
ridurre a pura emozione/ perchè è proprio quello che vogliono
gli uomini con le bombe in tasca/ che seminano odio e distruzione

4. A Madrid , la Nico è dentro la serra sterminata
di piante tropicali, senza treni, né macchine.
Il terrore nasce dalle azione degli uomini
(“Uomini no”, magari , ma sempreuomini) ,
il terrore possiede radici , passato, storia ed è pieno di trappole/
E' asimmetrico , è l'incognita dell'equazione/è il tarlo della divina proporzione/
non servono gli eserciti occidentali , nè illuministi razionali geometrici/
il terrorismo è alineare / infido serpe che può scivolare dentro di te
in qualsiasi momento/
ha una diversa concezione della vita e della morte,
dello spazio e del tempo/ ed è fatto di canaglie canaglie
–figli della Puttana Guerra - ,
e sono tanti tanti tanti quelli che lo fanno crescere in un mondo
senza confini /dentro le mura invisibili dell'odio e del profitto
che ciascuno di noi /si porta in tasca e nel cuore ,
come radice diabolica che non muore mai /
ma l'odio mio non puo' morir.../ non potrà mai morir.

5. La Nico di fronte a Guernica la Basca
ghiacciata di terrore /
Guernica integralmente distrutta per tecniche aviatorie /
risultato positivo /sperimento riuscito/
la cieca potenza dei tedeschi/ continuerà per sempre
ad abradere la città colle rasoiate aeree/
L'homme est perdu quoi qu'il fasse/.E' troppo tardi per tornare indietro/
l'uomo è scaraventato nei groviglidell'odio/
l'uomo è senza cielo , senza curve ,
chiuso in un treno ,comeuna scatola ermetica, specie di vasta bara ...

6. La Nico vede ora che l'uomo è perduto
qualunque cosa faccia/
l’uomo è perduto , dice La Nico, a Guernica
““”Oh, Guernica, /imponente, atrocemente bella,
urlo sommesso di orrore,qualcosa che sconvolge i sensi,
volti e animali atterritiche gridano quantoassurdo sia l'odio, sempre,
ma a volte troppo, troppo, troppo”””.

7. Molti pensano che basti la ragione a fermare il mostro
- dice Ceronetti."Ma provatevi a ragionare coi mostri,
l'armi atomiche , l'eroina e la pornografia".

E il terrorismo?

Si sta tecnologizzando/ mezzi di comunicazione , trasporti /,
bombe ,mitra e coltelli/ ma anche garanzie sociali
e libertà inconsuete che li fanno crescere.

Affinità ideologiche?
Condivisione dei principi religiosi?
non sono essenziali/non è neppure necessaria la partecipazione attiva
agli atti terroristiciper aiutarli sono sufficienti
il rifiuto
il cinismo
l'apatia ,
o soltanto la paurala paura irrazionale
che promuove la vulnerabilità di un sistema
Dite a quel figlio di puta guerrafondaio di Bush
che servono altri eserciti per la lottaasimmetrica,
servono nuove strategie,
serve un' intelligence assolutamente nuova,
strettamente legata con la parte operativa
e che integri tutte le risorse, comprese quelle militari,
te gapi' , pirla di un pirla?



8. La Nico è piangente a Madrid
piangi , piangi anche oggi /
e domani , e ancora domani/
piangi più amaramente che puoi/
tra le mimose sfiorite e i clown:
lasciatemi piangere Madrid / dove il divin fanciullo
di una stagione all'inferno
vide secoli fa "i vetri infranti
/le carni drammatiche del vento /
che si laceravano /in frontiere delle paludi..."
lasciatemi piangere il mattino
che si spezzò come magma nero e blu /sotto i boati il fuoco /

Lasciatemi piangere i morti squassati
/scaraventati a pezzi sulle rotaie/tra pietre aguzze quadrifogli e margherite
/dietro l'amaro volto d'erbe/nella brezza triste che spira dagli ulivi /
ed entra nei loro occhi /e si distende in mezzo a loro
/come angelo triste senz'ombra in silenzioin silenzio
in silenzio

9. Sì, ero nel ceto intellettuale dominante
dei paesi sviluppati
c'è il desiderio di fare terra bruciata,
intorno al prototipo di civiltà consacrato
dal pensiero unico liberale
e di scomunicarne le alternative
con condanne sommarie preventive...
antiamericanismo,terzomondismo,
antioccidentalismo, fondamentalismo,
integralismo, populismo, statalismo...cazzismo...
Ma l'Italia, dice, l'Italia, sta messa proprio male
(minghiaaa!, stu Pirandello quane che profeta!, uno nisciuno centomila!),
L’Italia è in stato confusionale , la politica, il popolo, gli intellettuali ,
le mille verità di un popolo senza verità
la favola poetica e il ballo in maschera dell'identità
e dei rialzi sotto i tacchi di Berlusconi ,
e il bacio tra il Gobbo e 'U Curtu? ,
e Sofri assassino e poeta
e la Gioconda di Leonardo ,
e Dell'Utri bibliofolo con lupara,
e Fra Cristoforo Lucia e l’Innominato ,
il Borgia Valentino del Machiavelli,
il folle geniaccio di Caravaggio e Cellini,
e Piero della Francesca e la pala di Brera,
e Petrarca e la patrie sponde


10. Leonardo e Monna Lisa
("Sorrido perchè so di potervi far del male", dice la Gioconda)
e via così…Pari avanti mezza.
Nulla è cambiato sotto il cielo , niente di strano ,
il male è la ragione profonda di molti sorrisi...ma tu , Nico, continua a piangere
la luna di sangue
che stanotte non abita nel cieloe l’albero spoglio /
e la luce e il vento
e i vetri infranti
e le case sconsolate

e la gente che si smarrisce
nello spazio e nell'anima

11 Scusate: (La Nico chiede scusa
con Madrid nel cuore)c’ho un albero nudo
dentrola gola del pianto…

Alla fine
nch'io vi chiedo scusa , amici,
sotto alberi azzurri e i cipressi
tra le tombe bianche rosse e verdi
ripiegate come bandiere spente…
e da lungi il mare
il mare
il mare

Appeso all'ultima parete del cuore,
vi chiedo ancora scusa.Scusatemi questa lacrima grigia
che si fa mare di malinconia.
Scusate.

Il tennis e i poeti




1. Questo excursus di poeti che hanno avuto a che fare, in modi diversi, col tennis, riguarderà , in realtà, solo tre autori, Montale, Bassani, e Giulio Sordini, il “ nostro” poeta dell’Axa , che è qui tra noi , e interverrà , alla fine, per declamarci alcune sue poesie, sul tennis e non.
Ma forse – non suoni offesa per nessuno - l’unico vero poeta del tennis , che il tennis ha cantato in diverse occasioni, anzi che lo celebra si può dire tutti i giorni , come tutti i giorni il prete dice messa , è un…giornalista, parlo di Gianni Clerici che tutti noi tennisti conosciamo e amiamo per le sue cronache fuori dagli schemi che quotidianamente o quasi ci propone su La Repubblica, giornale per il quale scrive da diversi anni.
Gianni Clerici ha lasciato quello che possiamo definire un vero e proprio monumento al tennis, il suo corposo libro “500 anni di tennis”, edito da Mondadori , e ristampato nel 2007 , tradotto in 6 le lingue, con notevole successo di critica e di pubblico, è il libro che ha fatto entrare Clerici fra “ gli immortali” della Hall of Fame di Newport , primo giornalista non anglosassone , a cui è stato conferito tale titolo.

2. Enrico VIII
Bene , sfogliando questo libro apprendiamo che il tennis, o qualcosa che somigli al tennis, a quelli che vengono considerati i suoi antenati , il pallone elastico, la pelota, il tamburello, il chistera, o cesta, il volano, si praticano da sempre, anche se quel gioco che assomiglia al tennis vero e proprio , è stato codificato , con regole scritte , - ed è quindi entrato nella storia - solo da 500 anni, cioè da quando Antonio Scaino da Salò , alla corte degli Estensi di Ferrara , volle dare una lezioncina di tecnica e di buone maniere al suo Duca Alfonso, e scrisse in un trattato di ben 325 pagine tutte le regole del “Gioco della corda con racchetta”, che a quel tempo era considerato il gioco dei principi e dei re, infatti lo praticavano tra gli altri Francesco I , Carlo V,e il terribile Enrico VIII, che ne era un fanatico , s’era fatto acquistare sette racchette e ci scommetteva su grosse cifra che regolarmente perdeva. Nel 1534 abbiamo la prima immagine ufficiale di una racchetta da tennis, è quella che tiene tra le piccole mani il duca Carlo Massimiliano d’Orleans , all’età di due anni, una racchettina cordata. Il duca diventerà re Carlo IX di Francia e sarà uno dei più accaniti giocatori del suo paese. Del resto quello fu un periodo di splendore per il tennis. A Parigi si spendevano mille corone al giorno per acquistare racchette e in tutta la Francia c’erano più campi da tennis che chiese. “I francesi, - scrive sir Robert Dallington, - nascono con la racchetta in mano: i tennisti sono più numerosi dei bevitori di birra in Inghilterra”. Ma anche l’Inghilterra, come vedremo non scherzava affatto, col tennis, che in Francia si chiamava con un altro nome.

3.Socrate e Platone

Ma ora facciamo un passo indietro e vediamo a che epoca risalgono i primi indizi, i primi segnali sul tennis , insomma quando l’uomo cominciò a giocare a tennis. Quando? Mah! , è difficile dirlo… ma ci sono delle caricature del francese Guillame che sono illuminanti al riguardo. Ci mostrano ad esempio un cavernicolo che lancia una pallina in aria per colpirla con una clava, a mo’ di racchetta; e poi Nausicaa, di cui ci parla Omero nell’Odissea , che gioca con una sua ancella ; e infine una ideale partita fra Socrate e Platone, tutti e due a rete, in volèe, quasi fossero disdegnosi del palleggio da fondo campo , e comunque ben lontani dall’apologia che fa Plutarco di Alessandro il pallettaro
E poi ci sono altre immagini, come la copia dell’affresco egizio di Beni Hasan, una copia d’avorio del II secolo conservata al museo di Kabul , con tre ragazze in topless che sembra un beach tennis ante litteram; o l’immagine di due giocatrici cinesi che giocano a volano , quasi danzando , che forse sarebbe piaciuta a Montale ; o ancora un quadro di Ortega su una immaginaria partita di “tlatchli” disputata fra atzechi , e un’altra incisione che ci mostra gli indiani irochesi che giocano con una sorta di piccolissima racchetta, magari si trattava di riti propiziatori , che testimoniano tuttavia come il gioco del tennis, o qualcosa che somiglia al tennis, venisse praticato ovunque, in tutto il mondo, da qualsiasi civiltà, anche quelle più antiche.

4. La palla trigonale
Ad esempio qui a Roma , Ovidio Nasone parla incredibilmente di palle lisce che rimbalzano su una larga racchetta. E ci sono gli atleti del muro di Temistocle , pallettari ante litteram , che fermano una partita sul marmo, una partita che risale a duemilacinquecento anni fa , ed era forse divinatoria.
Il tennis , che all’inizio si giocava a mano nuda ricoperta poi da corregge di cuoio e poi ancora con un guanto , il bastone, le palette , e , infine , con la splendida racchetta di corde di cui ci parla diffusamente Scaino, al tempo della Roma Imperiale si chiamava pila trigonale romana , e ne parlano un po’ tutti, da Orazio a Marziale, da Seneca a Petronio. Il gioco consisteva allora forse non tanto nello spiazzare l’avversario e fare il punto, ma al contrario nella precisione, come accade oggi nei palleggi d’allenamento.

5. Il gioco della palma

Dopo un lungo periodo di stasi , Omar Khajam e Avicenna , ci parlano di un divertimento che si chiama kora o “ciogan” ,importato dalla Persia .Si gioca a cavallo, a squadre , con una racchetta corta e cordata e consiste nel ribattere a tutta velocità e a tutta forza una palla di cuoio della grandezza di una mela. In pratica una sorta di polo con racchetta , anziché bastone, racchetta che gli arabi chiamano rahat , che significa riposo , svago, e insieme “palmo della mano”. E i francesi, che lo importeranno nel XII secolo , così lo ribattezzeranno, “jeu de paume”, anche se il gioco ormai si pratica non soltanto con il palmo della mano, ma anche con uno strumento che è quasi l’estensione simbolica del palmo , appunto la racchetta. Il gioco si trasforma, non si gioca più a cavallo , ma in spiazzi a terra, nelle corti, nelle piazze e perfino nei boschi. E proprio nel bosco di Vincennes, capitò che il re Luigi X di Francia , uno dei più accaniti giocatori della “paume” , giocasse così tanto , ma così tanto da rimanerci secco, come testimonia un cantore dell’epoca.
Nel bosco di Vincennes / di Francia il re Luigi
Al gioco della paume/ compiva gran prodigi.
Distrutto di stanchezza/ da quel testardo che era
Si riposò in cantina/ e di boccali d’acqua
Ne bevve una ventina.
Il freddo di quel sito/ gli congelò il polmone,
invano re Luigi/ cercò la guarigione.
Perdette piume e penne/ il povero Luigi
E al gioco della paume/ non fece più prodigi.

Tutti ormai giocano alla “paume” , non solo i re e gli aristocratici , ci giocano i seminaristi , i preti , i monaci curati abati , addirittura vescovi. Si gioca e si scommettono fortune. In piena guerra dei cent’anni, Carlo V è costretto a emanare editti e bandi contro la paume assimilandola a tutti i giochi che corrompono perché non contribuiscono a imparare il mestiere delle armi.
Non ci giocavano solo gli uomini. C’era anche una ragazza, una certa Margot, sui ventotto anni, che giocava la paume così bene come non s’era mai visto, e colpiva la palla molto violentemente, molto maliziosamente, molto abilmente, come avrebbe potuto fare uno dei migliori giocatori. Ed erano infatti pochi gli uomini che ella non battesse , se non i giocatori più potenti.
Gran giocatore di paume fu anche il duca Carlo d’Orleans, che ci giocò per vent’anni , prigioniero nel castello di Wingfield , anche in carcere, col proprio carceriere, e lasciò scritte alcune ambigue poesie

Tanto ho giocato con l’Età
A la paume che eccomi qua
A quarantacinque
Per scommessa ci battiamo
Non per niente , e mi sento ancora potente
Da difendere il mio handicap
Or la vecchiaia mi fa dolore
E la partita non vuole finire
Ora le cacce son da marcare
Tutti gli insulti devo subire
Schifa vecchiaia , ti so sfidare
Anche se la Saussy la temo.


6. Rabelais

Non si sa bene chi fosse questa Saussy, probabilmente la morte, che non tarderà ad arrivare. Ma ormai il tennis è diventato un fattore di elevazione sociale, di appartenenza ad una classe e i ricchi mercanti cercano di impararlo per diventare un po’ borghesi gentiluomini, alla maniera moleriana. Lo impara anche il Pantagruele di Rabelais, e lo impara così bene da diventar a sua volta maestro di paume, il dottore della paume.

Una palla nella braghetta
Nella mano una racchetta
Una legge nella berretta
Quattro salti sul tallone
Ecco fatto un dottorone

Siamo alla conclusione di queste quattro chiacchiere sulla storia del tennis e ancora non sappiamo perché si chiama così, tennis. Sappiamo che quel nome gli è stato attribuito dagli inglesi, che importarono il gioco della paume dai francesi, ma perché poi lo chiamarono tennis? Qual è la genesi?.

7. Shakespeare
Devo dire che sono molti quelli che si sono cimentati in questa ricerca , compreso il nostro poeta Giulio Sordini, che ha scritto un breve trattato sulle origini del tennis, in forma satirica , ma con riferimenti storici precisi. Incredibilmente , sembra sia stato il grande William Shakespeare a usare , in un suo dramma , per la prima volta , in modo letterario , la parola tennis, anzi , per essere precisi, a parlare proprio di palle da tennis. Se non ci credete, basta che sfogliate le pagine del primo atto dell’Enrico V per verificarlo, quando arrivano gli ambasciatori francesi e portano al re un gran tesoro, rinchiuso in un barile. Un tesoro che – secondo gli ambasciatori francesi - dovrebbe annullare il credito che il re di Inghilterra vanta nei confronti del cugino, il Delfino di Francia. Di che si tratta?, chiede il re al duca di Exter, suo zio.
Di palle da tennis, sire.E il re: “Siamo lieti che il delfino sia tanto carino con noi. Vi ringrazio del suo dono e per il disturbo che vi siete presi. Quando avremo assuefatte le nostre racchette a queste palle, giocheremo in Francia, per grazie di Dio, un set che farà volare la corona di suo padre”.

Nel 1600, quando scrive Scespir, gli inglesi avevano già ribattezzato il gioco della paume importato dalla Francia , e il tennis era un gioco ormai praticato da tutti, “qui gli artigiani, falegnami e cappellai giocano a tennis per una corona, uno spettacolo al quale non è facile assistere altrove, specie in un giorno di lavoro”, scrive un viaggiatore francese nel 1588). Ma perché proprio quel nome? Esisteva sulle rive del Nilo una città che i greci chiamavano Tanis e gli arabi ribattezzarono Tannis . Sappiamo che dall’arabo è stata mutuata la parola rahat in raquette…Ma tutto ciò non sembra avere alcuna connessione con l’Inghilterra, dove l’etimo è nato probabilmente dalla corruzione della parola tenez, che era il grido lanciato dal giocatore che iniziava il gioco per avvertire l’avversario dell’arrivo della palla, o forse – ipotizza Clerici - dalla corruzione di un termine che usò un cronista toscano , Donato Velluti, che scrive di una partita a palla tra cavalieri francesi, tutti nobiluomini e baroni pieni di soldi, e tale Tommaso Lippaccio, fiorentino, che durò per giorni e giorni. Si giocava a “tenes” – dice Venuti nel lontano 1325, un gioco che si pratica qui da noi”, ma che i francesi hanno così ribattezzato.
Insomma, alla fine , pare che la nonna del tennis, ammesso che la Francia ne sia la mamma, e l’Inghilterra la zia, sia proprio la nostra beneamata Italia, anche se ora come ora non rendiamo TROPPO onore alla nostra progenitrice , e siamo precipitati giù giù ai limiti della SERIE C del tennis mondiale , e aspettiamo da oltre trent’anni un nuovo Panata , contentandoci magari anche di un nuovo Barazzutti o anche di un altro pastasciutta Kid Bertolucci , con pancetta, che però aveva un braccio d’oro. Aspettiamo e speriamo. Spes , ultima dea.