giovedì 18 settembre 2008

Il tennis e i poeti




1. Questo excursus di poeti che hanno avuto a che fare, in modi diversi, col tennis, riguarderà , in realtà, solo tre autori, Montale, Bassani, e Giulio Sordini, il “ nostro” poeta dell’Axa , che è qui tra noi , e interverrà , alla fine, per declamarci alcune sue poesie, sul tennis e non.
Ma forse – non suoni offesa per nessuno - l’unico vero poeta del tennis , che il tennis ha cantato in diverse occasioni, anzi che lo celebra si può dire tutti i giorni , come tutti i giorni il prete dice messa , è un…giornalista, parlo di Gianni Clerici che tutti noi tennisti conosciamo e amiamo per le sue cronache fuori dagli schemi che quotidianamente o quasi ci propone su La Repubblica, giornale per il quale scrive da diversi anni.
Gianni Clerici ha lasciato quello che possiamo definire un vero e proprio monumento al tennis, il suo corposo libro “500 anni di tennis”, edito da Mondadori , e ristampato nel 2007 , tradotto in 6 le lingue, con notevole successo di critica e di pubblico, è il libro che ha fatto entrare Clerici fra “ gli immortali” della Hall of Fame di Newport , primo giornalista non anglosassone , a cui è stato conferito tale titolo.

2. Enrico VIII
Bene , sfogliando questo libro apprendiamo che il tennis, o qualcosa che somigli al tennis, a quelli che vengono considerati i suoi antenati , il pallone elastico, la pelota, il tamburello, il chistera, o cesta, il volano, si praticano da sempre, anche se quel gioco che assomiglia al tennis vero e proprio , è stato codificato , con regole scritte , - ed è quindi entrato nella storia - solo da 500 anni, cioè da quando Antonio Scaino da Salò , alla corte degli Estensi di Ferrara , volle dare una lezioncina di tecnica e di buone maniere al suo Duca Alfonso, e scrisse in un trattato di ben 325 pagine tutte le regole del “Gioco della corda con racchetta”, che a quel tempo era considerato il gioco dei principi e dei re, infatti lo praticavano tra gli altri Francesco I , Carlo V,e il terribile Enrico VIII, che ne era un fanatico , s’era fatto acquistare sette racchette e ci scommetteva su grosse cifra che regolarmente perdeva. Nel 1534 abbiamo la prima immagine ufficiale di una racchetta da tennis, è quella che tiene tra le piccole mani il duca Carlo Massimiliano d’Orleans , all’età di due anni, una racchettina cordata. Il duca diventerà re Carlo IX di Francia e sarà uno dei più accaniti giocatori del suo paese. Del resto quello fu un periodo di splendore per il tennis. A Parigi si spendevano mille corone al giorno per acquistare racchette e in tutta la Francia c’erano più campi da tennis che chiese. “I francesi, - scrive sir Robert Dallington, - nascono con la racchetta in mano: i tennisti sono più numerosi dei bevitori di birra in Inghilterra”. Ma anche l’Inghilterra, come vedremo non scherzava affatto, col tennis, che in Francia si chiamava con un altro nome.

3.Socrate e Platone

Ma ora facciamo un passo indietro e vediamo a che epoca risalgono i primi indizi, i primi segnali sul tennis , insomma quando l’uomo cominciò a giocare a tennis. Quando? Mah! , è difficile dirlo… ma ci sono delle caricature del francese Guillame che sono illuminanti al riguardo. Ci mostrano ad esempio un cavernicolo che lancia una pallina in aria per colpirla con una clava, a mo’ di racchetta; e poi Nausicaa, di cui ci parla Omero nell’Odissea , che gioca con una sua ancella ; e infine una ideale partita fra Socrate e Platone, tutti e due a rete, in volèe, quasi fossero disdegnosi del palleggio da fondo campo , e comunque ben lontani dall’apologia che fa Plutarco di Alessandro il pallettaro
E poi ci sono altre immagini, come la copia dell’affresco egizio di Beni Hasan, una copia d’avorio del II secolo conservata al museo di Kabul , con tre ragazze in topless che sembra un beach tennis ante litteram; o l’immagine di due giocatrici cinesi che giocano a volano , quasi danzando , che forse sarebbe piaciuta a Montale ; o ancora un quadro di Ortega su una immaginaria partita di “tlatchli” disputata fra atzechi , e un’altra incisione che ci mostra gli indiani irochesi che giocano con una sorta di piccolissima racchetta, magari si trattava di riti propiziatori , che testimoniano tuttavia come il gioco del tennis, o qualcosa che somiglia al tennis, venisse praticato ovunque, in tutto il mondo, da qualsiasi civiltà, anche quelle più antiche.

4. La palla trigonale
Ad esempio qui a Roma , Ovidio Nasone parla incredibilmente di palle lisce che rimbalzano su una larga racchetta. E ci sono gli atleti del muro di Temistocle , pallettari ante litteram , che fermano una partita sul marmo, una partita che risale a duemilacinquecento anni fa , ed era forse divinatoria.
Il tennis , che all’inizio si giocava a mano nuda ricoperta poi da corregge di cuoio e poi ancora con un guanto , il bastone, le palette , e , infine , con la splendida racchetta di corde di cui ci parla diffusamente Scaino, al tempo della Roma Imperiale si chiamava pila trigonale romana , e ne parlano un po’ tutti, da Orazio a Marziale, da Seneca a Petronio. Il gioco consisteva allora forse non tanto nello spiazzare l’avversario e fare il punto, ma al contrario nella precisione, come accade oggi nei palleggi d’allenamento.

5. Il gioco della palma

Dopo un lungo periodo di stasi , Omar Khajam e Avicenna , ci parlano di un divertimento che si chiama kora o “ciogan” ,importato dalla Persia .Si gioca a cavallo, a squadre , con una racchetta corta e cordata e consiste nel ribattere a tutta velocità e a tutta forza una palla di cuoio della grandezza di una mela. In pratica una sorta di polo con racchetta , anziché bastone, racchetta che gli arabi chiamano rahat , che significa riposo , svago, e insieme “palmo della mano”. E i francesi, che lo importeranno nel XII secolo , così lo ribattezzeranno, “jeu de paume”, anche se il gioco ormai si pratica non soltanto con il palmo della mano, ma anche con uno strumento che è quasi l’estensione simbolica del palmo , appunto la racchetta. Il gioco si trasforma, non si gioca più a cavallo , ma in spiazzi a terra, nelle corti, nelle piazze e perfino nei boschi. E proprio nel bosco di Vincennes, capitò che il re Luigi X di Francia , uno dei più accaniti giocatori della “paume” , giocasse così tanto , ma così tanto da rimanerci secco, come testimonia un cantore dell’epoca.
Nel bosco di Vincennes / di Francia il re Luigi
Al gioco della paume/ compiva gran prodigi.
Distrutto di stanchezza/ da quel testardo che era
Si riposò in cantina/ e di boccali d’acqua
Ne bevve una ventina.
Il freddo di quel sito/ gli congelò il polmone,
invano re Luigi/ cercò la guarigione.
Perdette piume e penne/ il povero Luigi
E al gioco della paume/ non fece più prodigi.

Tutti ormai giocano alla “paume” , non solo i re e gli aristocratici , ci giocano i seminaristi , i preti , i monaci curati abati , addirittura vescovi. Si gioca e si scommettono fortune. In piena guerra dei cent’anni, Carlo V è costretto a emanare editti e bandi contro la paume assimilandola a tutti i giochi che corrompono perché non contribuiscono a imparare il mestiere delle armi.
Non ci giocavano solo gli uomini. C’era anche una ragazza, una certa Margot, sui ventotto anni, che giocava la paume così bene come non s’era mai visto, e colpiva la palla molto violentemente, molto maliziosamente, molto abilmente, come avrebbe potuto fare uno dei migliori giocatori. Ed erano infatti pochi gli uomini che ella non battesse , se non i giocatori più potenti.
Gran giocatore di paume fu anche il duca Carlo d’Orleans, che ci giocò per vent’anni , prigioniero nel castello di Wingfield , anche in carcere, col proprio carceriere, e lasciò scritte alcune ambigue poesie

Tanto ho giocato con l’Età
A la paume che eccomi qua
A quarantacinque
Per scommessa ci battiamo
Non per niente , e mi sento ancora potente
Da difendere il mio handicap
Or la vecchiaia mi fa dolore
E la partita non vuole finire
Ora le cacce son da marcare
Tutti gli insulti devo subire
Schifa vecchiaia , ti so sfidare
Anche se la Saussy la temo.


6. Rabelais

Non si sa bene chi fosse questa Saussy, probabilmente la morte, che non tarderà ad arrivare. Ma ormai il tennis è diventato un fattore di elevazione sociale, di appartenenza ad una classe e i ricchi mercanti cercano di impararlo per diventare un po’ borghesi gentiluomini, alla maniera moleriana. Lo impara anche il Pantagruele di Rabelais, e lo impara così bene da diventar a sua volta maestro di paume, il dottore della paume.

Una palla nella braghetta
Nella mano una racchetta
Una legge nella berretta
Quattro salti sul tallone
Ecco fatto un dottorone

Siamo alla conclusione di queste quattro chiacchiere sulla storia del tennis e ancora non sappiamo perché si chiama così, tennis. Sappiamo che quel nome gli è stato attribuito dagli inglesi, che importarono il gioco della paume dai francesi, ma perché poi lo chiamarono tennis? Qual è la genesi?.

7. Shakespeare
Devo dire che sono molti quelli che si sono cimentati in questa ricerca , compreso il nostro poeta Giulio Sordini, che ha scritto un breve trattato sulle origini del tennis, in forma satirica , ma con riferimenti storici precisi. Incredibilmente , sembra sia stato il grande William Shakespeare a usare , in un suo dramma , per la prima volta , in modo letterario , la parola tennis, anzi , per essere precisi, a parlare proprio di palle da tennis. Se non ci credete, basta che sfogliate le pagine del primo atto dell’Enrico V per verificarlo, quando arrivano gli ambasciatori francesi e portano al re un gran tesoro, rinchiuso in un barile. Un tesoro che – secondo gli ambasciatori francesi - dovrebbe annullare il credito che il re di Inghilterra vanta nei confronti del cugino, il Delfino di Francia. Di che si tratta?, chiede il re al duca di Exter, suo zio.
Di palle da tennis, sire.E il re: “Siamo lieti che il delfino sia tanto carino con noi. Vi ringrazio del suo dono e per il disturbo che vi siete presi. Quando avremo assuefatte le nostre racchette a queste palle, giocheremo in Francia, per grazie di Dio, un set che farà volare la corona di suo padre”.

Nel 1600, quando scrive Scespir, gli inglesi avevano già ribattezzato il gioco della paume importato dalla Francia , e il tennis era un gioco ormai praticato da tutti, “qui gli artigiani, falegnami e cappellai giocano a tennis per una corona, uno spettacolo al quale non è facile assistere altrove, specie in un giorno di lavoro”, scrive un viaggiatore francese nel 1588). Ma perché proprio quel nome? Esisteva sulle rive del Nilo una città che i greci chiamavano Tanis e gli arabi ribattezzarono Tannis . Sappiamo che dall’arabo è stata mutuata la parola rahat in raquette…Ma tutto ciò non sembra avere alcuna connessione con l’Inghilterra, dove l’etimo è nato probabilmente dalla corruzione della parola tenez, che era il grido lanciato dal giocatore che iniziava il gioco per avvertire l’avversario dell’arrivo della palla, o forse – ipotizza Clerici - dalla corruzione di un termine che usò un cronista toscano , Donato Velluti, che scrive di una partita a palla tra cavalieri francesi, tutti nobiluomini e baroni pieni di soldi, e tale Tommaso Lippaccio, fiorentino, che durò per giorni e giorni. Si giocava a “tenes” – dice Venuti nel lontano 1325, un gioco che si pratica qui da noi”, ma che i francesi hanno così ribattezzato.
Insomma, alla fine , pare che la nonna del tennis, ammesso che la Francia ne sia la mamma, e l’Inghilterra la zia, sia proprio la nostra beneamata Italia, anche se ora come ora non rendiamo TROPPO onore alla nostra progenitrice , e siamo precipitati giù giù ai limiti della SERIE C del tennis mondiale , e aspettiamo da oltre trent’anni un nuovo Panata , contentandoci magari anche di un nuovo Barazzutti o anche di un altro pastasciutta Kid Bertolucci , con pancetta, che però aveva un braccio d’oro. Aspettiamo e speriamo. Spes , ultima dea.

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