venerdì 12 dicembre 2008

Gioachino Belli era un fijo de...



1. Presentazione

Gentili Signore e Signore, caro pubblico, stasera parleremo di Gioachino Belli, grande cantore di Roma, anzi della plebe di Roma del suo tempo ,ovvero la prima metà dell’ottocento , la Roma analfabeta del papa-re, di Mastro Titta, di Pasquino , che abbiamo visto riprodotta nei film di Luigi Magni . Com’è noto il suo grande affresco, che si può paragonare ad una sorta di Commedia dantesca laica , e infatti sarà chiamato il “Commedione”, assume il valore di una rivelazione e di una testimonianza universale di un popolo reietto e oppresso.
Ma al riguardo devo fare una premessa , credo necessaria. Chiunque abbia avuto a che fare con Belli, a livello di studio, d’insegnamento , o di curiosità artistica, come in questo caso, è andato incontro a grosse difficoltà, sia legate alle contraddizioni del personaggio, che alla sua lingua tutta particolare, un dialetto romanesco non facile , colorito, a tratti volgare, e perfino osceno, come l’era duecento anni fa , e come lo è , in gran parte , anche oggi , ove non sia purgato, edulcorato, reso potabile con qualche espediente , ma in questo caso perde in vivezza, naturalezza, autenticità, energia, vitalità, espressività. Noi vi parleremo di Gioachino Belli così com’è, nudo e crudo, ma non solo di lui . Come vedete c’è una band, la KiwiBand di Casal Palocco, costituita da Ezio( chitarra) Piero( batteria e vocalist) e Rino( tastiera), che canterà delle canzoni rigorosamente romanesche, canzoni conosciute da tutti , ma anche con una novità assoluta costituita dal leit- motiv , il gingle della serata…Gioachino Belli era un fijo de…C’è anche una splendida attrice, Marianna Fedele, che svolgerà il duplice ruolo contrapposto , ma direi fino ad un certo punto, di amante del poeta , la famosa Cencia, e di antagonista dello stesso , nel senso che avrà l’ingrato compito di dare addosso al poeta, e c’è un artista, Giacomo Lombardozzi, che è colui che ha realizzato il disegno di copertina…
Uno dice Gioachino Belli e rivede la Roma autunnale delle fontane e dei pini di Respighi con la musica sonora, che è una distesa di balconi e di alberi con le foglie dei platani sul lungotevere che battono le mani , la Roma dei pretini e dei marinai che sciamano per San Pietro e Castel Sant’Angelo , la stola e il solino, la croce e il cannone, l’incenso e l’odore di polvere da sparo, i topi e i gabbiani, la spada e la sete , le metamorfosi assurde , la nostalgia del mistero , le donne inginocchiate e i mattini che precipitano dentro di te, la Roma di quelle giornate meravigliose, di quelle giornate così splendidamente romane che perfino uno statale di infimo grado , be’ , puro quello se sente arricciasse ar core un nun socchè , un quarche cosa che rissomija a la felicità...
Ma ora, gentili signore e signore , il tempo stringe, iniziamo, cerchiamo insieme di stabilire chi era effettivamente Gioachino Belli…Er Belli era…..

LA BAND CANTA IL GINGLE



2. SAINTE - BEUVE (EZIO)

Extraordinaire ! Merveilleux !, io ogni volta che sento i suoi versi m’incanto, starei ore e ore ad ascoltarlo. Chiudo gli occhi e mi ritrovo a Roma, a Trastevere coi suoi colori , i suoi odori e i suoi turgori.
Avete un grande poeta , a Roma , un poeta originale : si chiama Belli ( o Belì) . Gogol me ne ha parlato a fondo. Scrive sonetti in dialetto trasteverino, ma dei sonetti che si legano e formano un poema: sembra che sia un poeta raro , nel senso serio del termine, pittore della vita romana. Gogol mi ha parlato d’un dialogo tra una madre e una figlia dalla finestra , molto buffo. Non pubblica , e le sue opere restano manoscritte . E’ sui quaranta: piuttosto malinconico di temperamento , poco estroverso. A Roma è come per la statua di Pasquino: togliete il coperchio , il sopra, andate al torso: ritroverete il più mirabile antico.








3.AUTORE
E fu una profezia, questa nota che il grande Charles Sainte-Beuve scrisse tornando da Roma a Marsiglia nel 1839. Era lo stesso letterato che aveva scritto , con acutezza e cattiveria, che “ Roma non è altro che una città di provincia , attraversata dagli stranieri”. In quelle poche righe, poi dilatate in una lettera e in una memorabile recensione, troviamo individuati i gangli del caso Belli: il carattere organico, poematico, dei sonetti ; la grandezza della sua poesia ( un poeta vero, un poeta popolare) , il fondo malinconico che serpeggia sotto la superficie comica, la condizione di clandestinità, il senso del sublime…Gogol, Sainte Beuve e altri mistici pellegrini del viaggio in Italia, allora di moda, cercano una città sepolta e scoprono invece , nei suoi versi, la voce di una città viva, fatta di carne e di nervi, di sangue e di sogni., una città sublime e stracciona , urbe imperiale diroccata, cuore della cristianità immiserita a borgo, luogo mentale di un ‘opera che è insieme realistica e simbolica, fisica e metafisica, Gerusalemme e Babele , che lui ama e odia, ed è costretto a correre continuamente dal sacro al profano, dai sublimi spazi dell’eternità al fango della cronaca, da dove nascono questi singolari fiori del male, che non danno scampo a nessun essere umano, a partire dal peccato originale d’Adamo ed Eva. Che il Belli fotografa prodigiosamente in uno scatto quasi irrelato, metafisico, ecco Dio il padrone del Giardino , il Dio che non perdona , che : appena che a maggnà l'ebbe viduti,/Strillò per dio con quanta voce aveva:"Ommini da vienì, sete futtuti"…
Oppure rimeditano il Qoelet, Giobbe , Leopardi e Quevedo, come ne “La vita dell’omo”, esemplare per la composta e insieme drammatica recitazione di eventi, che partono dal grembo materno e vanno oltre la vita. Qui il Belli , in quanto a pessimismo sulle sorti dell’uomo, supera ogni limite possibile.


Nove mesi a la puzza: poi in fassciola
Tra sbasciucchi, lattime e llagrimoni:
Poi p'er laccio, in ner crino, e in vesticciola,
Cor torcolo e l'imbraghe pe ccarzoni.

Poi comincia er tormento de la scola,
L'abbeccè, le frustate, li ggeloni,
La rosalìa, la cacca a la ssediola,
E un po' de scarlattina e vvormijjoni.

Poi viè ll'arte, er diggiuno, la fatica,
La piggione, le carcere, er governo,
Lo spedale, li debbiti, la fica,

Er zol d'istate, la neve d'inverno...
E pper urtimo, Iddio sce bbenedica,
Viè la morte, e ffinissce co l'inferno.


Belli saprà farsi interprete sincero e giusto, senza partigianerie o infingimenti , della sostanza più genuina del suo popolo , di cui dipingerà , come nessun altro , vizi, e virtù, nascita e morte , consegnandolo così alla eternità umana della poesia fino al “giorno der giudizio” , che s’apre con un epos michelangiolesco e sonorità barocche di una naturale fastosa grandiosità tutta romana , e si chiude con una sinestesia dantesca quasi surreale , e un finale ambiguo e inquietante.


Cuattro angioloni co le tromme in bocca
Se metteranno uno pe ccantone
A ssonà: poi co ttanto de voscione
Cominceranno a ddì: "Ffora a cchi ttocca."

Allora vierà ssù una filastrocca
De schertri da la terra a ppecorone,
Pe rripijjà ffigura de perzone,
Come purcini attorno de la bbiocca.

E sta bbiocca sarà Ddio bbenedetto,
Che ne farà du' parte, bbianca, e nnera:
Una pe annà in cantina, una sur tetto.

All'urtimo usscirà 'na sonajjera
D'angioli, e, ccome si ss'annassi a lletto,
Smorzeranno li lumi, e bbona sera.



I sonetti , o il Commedione , questo monumento che Gioachino Belli fa della plebe romana , non sono una teatrale catarsi del Belli-giullare , né una salutare liberazione nel piacere anarchico e nello sregolamento dei sensi, ma la denuncia e insieme la condanna di un moralista di quel caos babelico che è la commedia romana che si svolge da tempo immemorabile , tra cronaca e metastoria, in quella stalla e chiavica der monno che è la città eterna… L’eterna Roma alessandrina e babelica , la sfaticata Roma dei gatti e dei papi, dei cardinali e delle mignotte , la Roma centro di ogni confusione linguistica e di ogni promiscuo disordine , curia-lupanare e tonaca-bordello; questa Roma gregoriana del Belli dove la popolana ha il piglio della matrona e dove lo sguardo corre vertiginosamente dal sublime al basso , come dal basso al sublime, dove la rovina romana e la chiesa barocca ricordano quotidianamente lo scontro fra caduco e l’eterno , viene rievocata da un altro grande moralista ilare e ferito , Carlo Emilio Gadda , che la descrive nel “ pasticciaccio” come una sorta di nuova Babele del ventennio fascista:

“ Furti ,cortellate , puttanate , ruffianate, rapina , cocaina , vetriolo veleno de tossico d’arsenico per acchiappa’ li sorci , aborti , manu armata , glorie de lenoni e de bar, giovenotti che se fanno paga’ er vermutte da una donna, che ve ne pare?”

Ma c’era stata ancor prima la Roma del ghetto di Zanazzo, e poi la Roma delle serenate e di Villa Glori del Pascarella , e quella aforistica arguta tutta bonaria satirica da caffè e da portineria del Trilussa, e la Roma degradata e fantasmica di Scipione , quella torbida di Moravia, la Roma cruda di Pasolini , la Roma barocca dolce-vita , di una sensibilità tutta femminea,di Federico Fellini, fino alla Roma di oggi delle puttane di Tor Sanguigna , o “de scemo de guera” di Ascanio Celestini ..Ebbene, senza il Belli , punto fermo e centro motore , strada maestra e pietra angolare di tutto , modello inarrivabile, non ci sarebbe stato niente di tutto ciò . E non lo dico io , ma quel geniale regista metà romagnolo e metà romano che è Fellini , descrivendola nel discusso film omonimo , una Roma turgida in cui la fissità mortuaria della pietra si confonde
con l’empito sguaiato dell’ingiuria , la roma-rifugio degli increduli, la roma-antidoto alla solitudine dell’uomo , la roma -sospesa tra il rubicone e la talpa della metropolitana, la roma -ventre di vacca , ma anche roma-utero nel quale rientrare ,la mamma-roma ma anche la roma tutta humour e malinconia di Attalo , la Roma disperante del traffico che tutto paralizza, la roma delle sfilate di moda e dei carri armati , la roma delle battone di tutti i colori e di tutte le razze , la roma che inghiotte gli uomini e li flagella in un fangoso trionfo , la Roma che non si può mai veramente conoscere , la Inconoscibile, la romaccia , mito antichissimo e insieme moderno, la Roma di Petrolini dallo sguardo lunare, Gastone, Nerone, lo scettico blu, ma anche l’ironico e sentimentale compagno di viaggio autore di una canzone che ancora oggi cantiamo volentieri tutti in coro…
Band : Tanto pe cantà


4.MARIANNA:

Signore e Signori, gentile pubblico, noi stasera siamo qui per uno spettacolo, e va tutto bene , non andiamo troppo per il sottile con la storia , la geografia e la filosofia, le simmetrie e le parabole , i triangoli rossi e neri , ecc. , ma per onestà intellettuale , come si dice in questi casi , dobbiamo e vogliamo chiederci chi era “realmente” Gioachino Belli , questo dottor Jekyll che improvvisamente scopre di avere dentro di sé una specie di Mr. Hyde plebeo , metà comico e metà tragico, pieno di livore, rancore e parolacce a go go , che sferza tutto e tutti con la frusta della sua satira feroce. Ricordiamo che il suddito Belli era un impiegato dello Stato Pontificio , un uomo timorato di Dio , tutto casa e chiesa , chiuso , introverso ,musone, pavido , tmoroso , un uomo che nei momenti cruciali delle grandi rivolte e delle guerre ( vedi ad esempio nel 1831, nel 1848, o nel 1859 ) brilla per… la fuga verso casa, dove si chiude a tripla mandata e si mette a letto con la febbre altissima , e per somma prudenza si astiene da tutto , perfino dallo scrivere versi , l’unica cosa che gli riesca di fare in modo positivo …. Per il resto , un uomo , ahimè, assolutamente mediocre , opportunista , arrivista , che sposa una ricca vedova senz’amore , al solo scopo di potersi garantire una vita agiata , e dedicarsi alla sua amata letteratura , all’ Arcadia , per sfornare opere come “Toeletta”, “Laude delle frittelle” , i “Salami di Pindo” , eccetera , opere con cui delizia i soci dell’Accademia Tiberina , firmandosi Tirteo Lacedemonio.. Ma in realtà quella vuota e inutile Accademia gli servirà per altre cose più pratiche , soprattutto , per fare conoscenze prezzolate , uno stuolo di conti marchesi e monsignori , abati e abatini , che gli saranno assai utili per ottenere quel comodo posticino statale di cui abbiamo accennato e poi per conservarlo , pur lavorando poco e male , e garantirsi una pensione per la vecchiaia. Ed è questo senso , a pensarci bene , che il Belli realizza il suo vero capolavoro. Nel settore pensionistico risulta infatti un vero artista , uno che probabilmente ha battuto tutti i record possibili , il guinness dei guinness.
State a sentire: ha avuto tre pensioni, lavorando, si fa per dire, una decina d’anni in tutto all’Ufficio del Bollo e del Registro, e la prima pensione - udite , udite! - gli fu data ad appena diciotto anni di età, dopo sedici mesi di servizio: altro che baby pensioni!...L’ultima a 56 anni , per malattia , dopo nemmeno tre mesi di servizio effettivo. Un uomo per bene, per carità, tutto letteratura chiesa , viaggi e …sesso .

E ciò grazie ai lasciapassare della generosa moglie Mariuccia, di tredici anni più anziana, che forse per tenerselo buono, gli toglieva tutti i capricci possibili: gli finanziava i costosi viaggi a Napoli, Genova, Venezia, Milano, per non parlare quelli interni allo Stato Pontificio ( almeno due all’anno ) nell’Umbria e nelle Marche, dove la moglie possedeva dei terreni. E tutto ciò sempre grazie ai beni di Mariuccia , che erano ingenti, e tuttavia non durarono molto all’assalto del vorace marito. E poi , la stessa Mariuccia , gli aveva fatto conoscere quella che sarebbe divenuta la sua amante e la sua musa , la frizzante marchesina marchigiana Vincenza Roberti, che era la figlia di una sua amica , e aveva ventidue anni meno di lei.
Insomma , Signore e Signori , siamo seri prima di parlare di un Belli alla Milton alla Byron , Belli “poeta maledetto” , o addirittura “moralista” , come è stato tratteggiato . Tucco ciò, francamente lascia alquanto perplessi, tenuto conto che tranne un breve periodo di cosiddetta presa di coscienza sociale e politica , derivatagli dalla sua visita a Milano , e presa di contatto con gli ambienti degli intellettuali milanesi , si dimostrerà per tutta la sua vita
sempre pigro, arrivista, codino, reazionario , antiprogressista , strenuo difensore del Papa , fino al punto da scrivere dei sonetti contro Giuseppe Mazzini e diventare , dopo il breve periodo della repubblica romana , bieco censore dello stato Pontificio : Metterà al bando il Macbeth di Sakespeare , il Rigoletto del Verdi , e tante altre opere di grandi illuministi. E le sue ultime opere saranno la traduzione delle preghiere della Beata Vergine e degli Inni Sacri .... E questo è lo stesso Belli che nella versione di un Mr. Hyde romanesco , aveva fatto ridere , ma era stato anche blasfemo e osceno la sua parte , tenuto conto che le cose che aveva saputo descrivere meglio di tutte , e con grande abbondanza di termini e particolari , sono gli organi sessuali maschili e femminili , che lui aveva chiamato rispettivamente : Il padre di tutti i Santi , e la Madre di tutte le Sante… Insomma, Signore e Signori, lo vogliamo dire , o no , chi era veramente Gioachino Belli ? …..

BAND: Leit motiv


5,AUTORE
Non voglio controbattere , perché questa non è la sede e soprattutto perché quel che conta in un autore sono le sue opere e non le sue piccole miserie umane, e queste opere - nonostante il suo sarcasmo, egregia signorina - ci dicono che Belli fu un grande poeta , un genio giustamente paragonato a un Goya , a un Boccaccio , a un Rabelais , un comico carnevalesco .
Uno dice Belli e dice i suoi sonetti , arte nella quale fu inarrivabile , invidiato perfino da uno come D’Annunzio, che lo riconosce come il più grande artefice della forma-sonetto della nostra letteratura, sono una festa liberatoria, l’abolizione di ogni gerarchia, la contestazione delle verità ufficiali, la maschera e il riso , il mondo alla rovescia, la parodia del sacro , l’ingiuria affettuosa, l’infrazione dei divieti verbali, le imprecazioni e gli spergiuri , il realismo grottesco l’iperbole oscena , il corpo come somma di protuberanze e orifizi, è vero, ma anche colui che dice la verità , che grida la verità sfacciata contro la tracotanza, l’ipocrisia e l’ottusità del potere , e qui la sua voce si fa grave , nel risentimento e nel sarcasmo, e il linguaggio si scrolla di dosso ogni ombra comica , si fa tragico , al pari di un Parini o Leopardi , come nell’affaticata figura del Ferraro, che conserva intera la sua attualità, anche ducento anni dopo, ai tempi nostri :


Pe mmantené mmi' mojje, du' sorelle,
E cquattro fijji io so c'a sta fuscina
Comincio co le stelle la matina
E ffinisco la sera co le stelle.
E cquanno ho mmesso a rrisico la pelle
E nnun m'arreggo ppiù ssopr'a la schina,
Cos'ho abbuscato? Ar zommo una trentina
De bbajocchi da empicce le bbudelle.
Eccolo er mi' discorzo, sor Vincenzo:
Quer chi ttanto e cchi ggnente è 'na commedia
Che mm'addanno oggni vorta che cce penzo.
Come!, io dico, tu ssudi er zangue tuo,
E ttratanto un Zovrano s'una ssedia
Co ddu' schizzi de penna è ttutto suo!




Uno dice Belli e dice Trastevere , ma dice anche Morrovalle , dove sta Cencia, la sua amante. Sì, anche lui , come Dante, come Petrarca, ebbe la sua Beatrice, la sua Laura. Si chiamava Vincenza Roberti , da lui chiamata “ Cencia” e fu la sua musa, a cui dedicò il suo “canzoniere amoroso” . Ma noi non vogliamo parlare di quello “ufficiale” , in lingua italiana , dove ci sono residuati arcadici, petrarchismi, marinismi derivati da Bernardo Tasso , dove c’è il ghigno di un Berni, l’empito del Monti, per non parlare dei prestiti di Properzio e di altri poeti latini ; no, noi parliamo di quella sorta di controcanto petrarchesco che la già ricordata marchesina Roberti fece esplodere in lui proprio quando sembrava che la sua stagione dovesse declinare in modo irreversibile, alla soglia dei quarant’anni. Siamo nell’estate del 1830 e Belli riscopre l’amore . Ed è una cosa tutta fisica, carnale, talora oscena , fatta di sangue e umori segreti portati al culmine , in cui l’ eros ha una voce volgare , plebea , una sonorita’ affannosa , come in un soffiare di sibilanti esse che s’avvolgono, s’ attorcono l’una nell’altra, come gli amanti nello spasmo d’amore:

che scenufreggi , sciupi, strusci e sciatti! /che sonajera d’inzeppate a secco!/ igni botta , peccrisse, annava ar lecco:/ soffiamio tutt’e dua come d’ gatti
e termina con un’eccitazione visionaria , degna delle migliori espressioni poetiche surrealiste dei poeti maledetti


e’ un gran gusto er frega’! ma pe godello

piu’ a ciccio , ce voria che diventassi

Giartruda tutta sorca , io tutt’ucello


Il gran merito di Cencia , dunque, fu quello di risvegliare in lui non solo i sensi e i sentimenti , ma anche quel formidabile cantore dialettale che minacciava di addormentarsi per sempre , senza aver scoperto la sua vera indole, la sua passione segreta , la sua vocazione , quella verso una città e il suo popolo, una tematica finita e infinita ….Dopo una visita a Morrovalle , nell’alcova dell’amante , che nel frattempo si è sposata con il dottor Pirozzi , un uomo di mondo , come direbbe Totò, che sa capire le situazioni e quindi non frappone ostacoli alla loro relazione sentimentale , il trentanovenne Belli esplode in una vera e a e propria furia creativa . E’ la fine dell’estate del 1830 , e in meno di un mese scrive cinquantanove sonetti , quasi tutti erotici, taluni davvero osceni . Li scrive in carrozza , da Morrovalle a Valcimara , al ponte della Trave, a Foligno, a Spoleto, a Strettita, a Terni, a Otricoli, Civita Castellana, Monterosi, Baccano, La Storta. “Vengo carico di versi da plebe, ne rideremo insieme scrive all’amico Francesco Spada. Nel secondo dei sonetti , A Nina , fortemente erotico, e abbastanza osceno , potrebbe configurarsi proprio la figura dell’amante , Vincenza Roberti, la sua “Cencia”...
Ma in realtà com’era Gioachino Belli come amatore ?. .. Sentiamo cosa dice l’interessata, Vincenza Roberti da Morrovalle, un paesino vicino Macerata , dove la marchesina viveva in un palazzo avito del XVI secolo , che ancora oggi ospita molti visitatori , probabilmente più per la curiosità di avere notizie sulla marchesina che per le sue qualità architettoniche , con la sua forma tozza , rozza, massiccia , incompiuta, una serie di finestre enormi , pesanti, con una leggera modanatura , e un unico grande pregio, un portale d’ingresso all’estrema destra di notevole pregio architettonico, da dove entrava e usciva la nostra marchesina Vincenza...Ma prego, Signora Marchesa….


6.CENCIA ( MARIANNA):
Ma cosa vuole che le dica?…Lei chiede a me com’era Belli come amatore , ma noi eravamo solo buoni amici , lo siamo stati per più di quarant’anni . Certo, ci volevamo bene, questo è vero , ma da amici …Ci si confidava un po’ tutto , ma la verità su di lui non è facile , la verità è che “Peppe” ( tutti lo chiamavamo così, Peppe e non Gioachino) era sconosciuto perfino a se stesso . Si tratta di un realtà intricatissima , fatta di contraddizioni, di ambiguità , di piccoli enigmi caratteriali… Peppe non era solo duplice, come ha detto qualcuno, ma molteplice….. Bisogna averlo conosciuto, come l’ho conosciuto io, per sapere che ci sono stati tanti Belli, a seconda delle stagioni . Quello ad esempio del 1821, quando lo vidi per la prima volta era un bel ragazzo, alto , magro, pallido, con un paio di baffi nerissimi , da intellettuale romantico, con ondate di capelli neri che gli coprivano quasi gli occhi, nerissimi, fiammeggianti , un naso pronunciato e una bocca carnosa ; insomma aveva fascino, era di modi gentili e declamava i propri versi con voce appassionata , uno che ci sapeva fare con le donne . Era la prima volta che venivo a Roma, al seguito di mia madre, la marchesa Marianna Betti , vedova Roberti , per sbrigare delle pratiche amministrative . Eravamo ospiti a Palazzo Poli , proprietà di una cara amica di mammà, Mariuccia Conti , che era stata la moglie del conte Pichi , e , dopo la sua scomparsa, aveva da poco aveva sposato un impiegato pontificio del Bollo e Registro, proprio la persona di cui noi avevamo bisogno per disbrigare le nostre pratiche . Peppe ci accompagnava in giro per i vari uffici , al mattino, e al pomeriggio ci faceva anche da cicerone . Ma Mammà si stancò presto e rimase a parlare con la Mariuccia dei loro vecchi tempi ( avevano la stessa età) , mentre io e Gioachino continuammo le nostre passeggiate romantiche a piazza di Spagna , dov’erano i frittellari e i popolani giocavano a morra nelle strade , ai Fori imperiali , al Colosseo , e a tutta quella parte di Roma che favorisce gli innamoramenti ….

BAND: ROMA NUN FA LA STUPIDA STASERA







7.AUTORE
Cencia aveva ventun’anni, Belli ventinove…La verità è che – la marchesina ovviamente non può ammetterlo - divennero amanti, con alti e bassi, come capita in tutte le relazioni sentimentali, anche quelle extraconiugali. Belli si recava a Morrovalle due volte l’anno e vi sostava anche un mese intero . Sospese le visite quando Cencia sposò , qualche anno dopo il dottor Pirozzi ; ma trascorso qualche tempo i due amanti ripresero a vedersi , perché il dottore era spesso fuori paese e si comportò sempre da marito discreto e liberale. Ma ci chiediamo. E Mariuccia ? , la buona Mariuccia che involontariamente gliela aveva messa tra le braccia , non sospettava proprio nulla? Era così candida, così ingenua la sua “Cicia” , a cui Gioachino scrisse centinaia di lettere per parlare , da perfetto ipocondriaco ed egoista qual era , solo dei suoi raffreddori , mal di testa , diete salassi , purghe , mignatte e vescicanti , ecc, oppure dei terreni , buoni fruttiferi e rendite catastali , senza mai dedicarle una frase d’amore , o un solo verso dei suoi cinquantamila e passa che compongono il suo commedione. Neppure da morta fu ricordata la povera Mariuccia, tant’è che non si sa nemmeno dove il marito l’abbia sepolta .
Ma com’era questa Mariuccia Conti , a cui Belli in fondo deve praticamente tutto e a cui nulla ha dato, tranne un figlio, Ciro, che venne su viziato, smidollato, pigro, nullafacente, neghittoso, vile, senza alcun ideale ,senza volontà, insomma assai peggio del padre?
Un ritratto ce la mostra elegante e perfino graziosa, con un volto arguto e dolce ad un tempo, animato da due grandi occhi bruni, pieni di espressione, ma era un ritratto a pagamento. I suoi biografi oscillano tra un’esaltazione della sua semplicità e la constatazione che se non è bella, è almeno di buon cuore , e per di più ricca e di spirito. Insomma non è certo una Venere, però è ricca, ha un carattere amabile , e le fa un po’ da madre , da moglie e da infermiera , a seconda della bisogna. Inoltre lo idolatra , lo ritiene il più grande poeta vivente e gioisce dei suoi trionfi letterari , e quando può lo lascia libero , vede tutto , e lascia correre , gli fornisce gli scudi necessari ( e sono tanti, più del doppio di quelli che lui percepisce dallo Stato ) per i suoi viaggi annuali e per i suoi sfoghi sessuali. Una moglie perfetta per lui, una vera manna caduta dal cielo, in tutti i sensi. Dalla cella dei “Cappuccini” , o dalla fetida stanzetta della zia Marietta, dove il giovane Belli alloggiava , era andato a Palazzo Poli, in un lussuoso alloggio , con tutti i conforti e la servitù, nello stesso stabile dove abita la principessa Zenaide Wlkonskkj nel cui saloto egli conoscerà le più eminenti personalità europee, Viazemsky e Gogol . Sedici sale , una grande galleria di ingresso , lo scalone d’onore , la stanza del biliardo con ben 47 dipinti , consoles, cantoniere, bureaux, maggiolini statue, tendaggi , perfino le porte sono laccate in perla e oro , e i servi hanno una livrea talmente lussuosa da destare stupore, c’è un capo dei domestici, un maggiordomo, come nelle famiglie dei cardinali.

Abbiti , argenterie, casa a palazzo, carrozze, servitù, pranzi in campagna…Lui vede tutto e nun dimmanna un cazzo . La previdenza vie’? lui l’ariceve . Er camminuccio fuma ? e quello magna. La fontanella butta? E quello beve.



Insomma, qualche rimorso di coscienza, ce l’aveva, di tanto in tanto, il nostro Gioachino. Ma c’è da dire , a sua scusante , che aveva passato un’infanzia e un’adolescenza davvero difficili e miserabili , vero Signora Marchesa?.


8.CENCIA (MARIANNA)
Sì, è vero. Il padre di Gioachino , Gaudenzio, è lungo giallo cupo gretto, tirchio, di vedute ristrettezze, severissimo nei confronti dei figli, a cui non fa mai una carezza , un gesto affettuoso , non dice una parola buona , gentile ; la madre , al contrario, è molto bella , una napoletana tutta luce, calore, espansività. Ma Gioachino da lei prenderà molto poco, è introverso , sempre immusonito, ingrugnato, scontento, con una dose eccessiva di orgoglio e amor proprio, ed è anche un po’ presuntuoso, dato che ritiene la propria opinione come la migliore di tutti. Ma è di una grande sensibilità e immaginazione , un osservatore attento, finissimo, spietato, fin da piccolo, è precocissimo e già nutre le proprie malinconie, come fanno tutti i poeti . Lo pervade anche un torvo senso di insicurezza , e una totale sfiducia negli uomini, che lo accompagnerà per il resto della sua vita. Quando era appena un ragazzino di sette anni, capitò che l’avarissimo padre Gaudenzio smarrisse in casa un baiocco di rame ( l’equivalente di cinque centesimi di euro) e allora esperì delle indagini in famiglia per scoprire il colpevole: la moglie, la bellissima Luigina , Carlo, il fratello minore di Gioachino e lo stesso Gioachino. Flaminia , la più piccola della famiglia, non era ancora nata. Era accaduto che il piccolo Gioachino il baiocco l’aveva effettivamente trovato , il giorno prima , e l’aveva riposto da qualche parte. Messo alle strette il bambino confessò. “ Sì, sono stato io”. Il padre, a questa ammissione non ci vide più e cominciò a urlare come un ossesso che aveva allevato un ladro, un figlio ingrato, un mostro…Mentre lui si macerava sui libri mastri, il figlio maggiore ( il bambino aveva sette anni e quasi non respirava più per la paura) lo derubava. La casa dei Belli era in via dei Redentoristi, ma riescono a sentirlo fino all’Argentina. A questo punto , Gioachino, con la sua ipersensibilità, si vede già squartato da Mastro Titta , il boia, che ha visto in azione proprio pochi giorni prima , sulla pubblica piazza , mentre mazzolava e squartava un povero Cristo, un certo Marco Rossi , solo per una questione di corna in famiglia.
Gaudenzio stabilisce che il figlio debba restare chiuso tre giorni in una camera oscura, col trattamento di pane e acqua. Al momento della liberazione, il bambino viene condotto nella sala grande, dove tutti i parenti sono riuniti. “ Sei un ladro”, dice Gaudenzio a suo figlio , davanti a tutti. E lui , alla gogna, si batte il petto e dice: Sì, sono un ladro. Poi prende il baiocco e , in ginocchio, fa il giro della sala e chiede scusa a tutti i presenti. “Non lo farò mai più”.

9. AUTORE
E’ un trauma terribile e crudele che lascerà un segno indelebile nella psiche del poeta , e anche un oscuro sentimento di rancore verso il padre , un qualcosa di acre che lo accompagnerà sempre ; e non a caso la sola volta che si ricorderà del padre , nella sua sterminata produzione in versi , lo farà in modo da penderlo in giro. Il padre sarà da lui visto come una sorta di Abramo che sacrifica il figlio

Doppo fatta un boccon de colazzione
Partirno tutt'e quattro a giorno chiaro,
E camminorno sempre in orazzione
Pe quarche mijo ppiù der centinaro.
"Semo arrivati: alò", disse er vecchione,
"Incollete er fascetto, fijo caro":
Poi, vortannose in là, fece ar garzone:
"Aspettateme qui voi cor zomaro".
Saliva Isacco, e diceva: "Papà,
Ma diteme, la vittima indov'è ?"
E lui j'arisponneva: "Un po' ppiù in là".
Ma quanno finarmente furno sù,
Strillò Abbramo ar fijolo: "Isacco, a tte,
Faccia a tterra: la vittima sei tu".


Dopo alterne vicende , legate sia a rivolgimenti politici ( siamo nel periodo napoleonico) , sia alla leggendaria avvenenza della madre d Gioachino , che ha intorno a sé sempre diversi spasimanti , la famiglia Belli si sistema a Civitavecchia dove Gaudenzio ha un onorevole incarico tra il direttore della dogana e capo dei servizi commerciali. Fa delle speculazioni vantaggiose, si arricchisce, le cose sembrano andar bene , acquista anche una piccola flotta , e il piccolo Gioachino sogna un viaggio su una delle sue navi , ma le sue speranze vengono deluse. E subito dopo scoppia il colera , in cui perderà la vita il padre e verranno ridotti al dissesto finanziario. Tornano a Roma, con la madre incinta ( il fratellino di Gioachino, Antonio Pietro, vivrà solo per pochi giorni) , in una casa angusta e desolata in via del corso 391, da cui il Belli trarrà lo spunto per la celebre La famija poverella, dove s’avverte una risonanza di temi danteschi, in particolare del canto del conte Ugolino:

Si capissimo er bene che ve vojo ! / Che dichi, Peppe? Nun voi stà a lo scuro ?/ Fijo , com’ho da fa si nun ce ojo? / E tu, Lalla, che hai? Povera Lalla,/ hai freddo? Ebbè, nun mèttete lì ar muro:/ viè in braccio a mamma tua che t’ariscalla…

10.CENCIA (MARIANNA)
Gioachino ha tredici anni e si tuffa nello studio, capisce che il latino la filosofia la poetica e l’oratoria , gli studi che compie al collegio romano, non sono costrizioni ma strade fiorite per l’avvenire che sogna, diventare poeta. Sui quindici anni , coi caratteri più appariscenti del Poliziano e del Tasso comincia a scrivere i primi versi. Si applica forsennatamente allo studio con tutti i mezzi e ogni sacrificio , e riesce a primeggiare in quasi tutte le materie. Ma come sempre capita i successi gli alienano le simpatie dei compagni, e gli stessi insegnanti gli diventano nemici, così si inasprisce , il suo carattere si fa indocile e turbolento, pronto ad obbedire alle sollecitazioni dell’affetto, e ribelle invece di fronte alle minacce e al rigore.
Nel frattempo la madre si risposa con un ragazzo molto più giovane di lei, Michele Mitterpoch, ha poco più di vent’anni, lei trentacinque. E’ figlio di un pasticcere e abita nella medesima casa . Gioachino si sente tradito e umiliato da questo matrimonio , fugge di casa, e se ne va a zonzo per tutto il giorno sul Tevere, si rifugia sotto il ponte Rotto , dove vede i barcaroli che sciamano lungo il fiume. E assiste , col cuore in subbuglio , sconvolto , pieno di pietà e orrore , al ritrovamento di un cadavere affogato da parte di un barcarolo romano: si tratta di una giovane donna…


BAND: ER BARCAROLO

11,AUTORE:
Belli scrive la sua prima poesia in romanesco a ventisei anni , è domenica, 23 febbraio 1817 , sono le 17,30. Lo annota lui stesso . Era un maniaco, annotava tutto , anche i centesimi che spendeva per acquistare le caldarroste. La poesia è intitolata “Alla Sora Ninetta” , la madre del suo fraterno amico Francesco “Checco” Spada, e non ha nessun pregio , ma è una sorta di incipit del famoso Commedione.Gli ci vorranno più di dieci anni , per scrivere ancora in romanesco , e la svolta decisiva sarà la conoscenza del Porta, delle opere del Porta , che elevano il dialetto alla stessa dignità della lingua italiana. Da Milano torna a Roma un altro Belli , con una rivelazione... E’ come se vedesse Roma per la prima volta , nuova diversa viva sanguigna.
In quel periodo di trasformazione, metamorfosi , Belli annota nel suo zibaldone un pensiero d’Erbigny : qualunque strepito possa farsi in un impero, esso non è mai così pericolosa quanto il silenzio dei preti. E’ un Belli decisamente nuovo, estremista, libertario , in linea con Stendhal, Heine, Tommaseo, Poerio, cioè le punte più avanzate della cultura europea . Intanto aveva lasciato l’Accademia Tiberina e aveva fondato una società di lettura insieme ad un gruppo di amici , andava nelle osterie, prendeva appunti, parlava il più possibile con la plebe, si era messo all’ascolto delle loro problematiche , ne aveva studiato il linguaggio, la parola , essenzialmente orale , era diventato quasi senza accorgersene come “diabolus in ecclesia “ , nella sua città, e diabolica era quella voce viscerale che saliva a scuotere il benpensante timorato di dio , il non eroico impiegato. Era la Roma sboccata e oscena dei suoi sonetti più arditi, “ scastagnamo ar parlà, ma aramo dritto, dirà per giustificarsi , traducendo il motto di Ausonio : lasciva nobis pagina, vita proba. Quasi senza accorgersene era divenuto la voce segreta di un popolo
D’ora in poi i suoi personaggi non saranno più soltanto abati e abatini, nobili e grassi borghesi, ma saranno , in presa diretta , quelli elencati in una lettera all’amico Giovambattista Mambor: Caterina la guercia, Rosa ficamoscia, Nunziatella de li sordati, la Cicoriara de ponte Rotto, la Peracottara de li paini, la fija zitella de Salataccia, Tribuzzia la sediaria der catichismo, Menica la bagarinella de Mercato, Nanna quattrochiappe. E poi lo Stracciaroletto de Borgo, Gurgumella, Panzella, Rinzo,Chiodo,Roscio, Cacaritto,Puntatacchi, Deograzzia ,Bebberebbè, er Cecchetto de le quanrantora , Feliscetto der mannolino, Giartruda Ciancarella, la moje der froscio...
E tanti , tantissimi altri personaggi dei suoi sonetti, del “Commedione”, personaggi che ritroviamo sempre nella tradizione romanesca delle poesie e delle canzoni , fino ai tempi nostri, con le loro storie d’amore, le gelosie, le tragedie, Lella , la moje der cravattaro.
BAND: LELLA


12,MARIANNA:
La verità è che Belli si mette la maschera per sputare il proprio veleno, come una vecchia vipera rancorosa e vendicativa . Belli crea apposta una lingua nuova , senza memoria, al solo scopo di poter palesare le proprie insoddisfazioni , la propria scontentezza , perché non riesce a pervenire a nessun risultato sperato . In termini di lingua italiana, rimarrà il modesto, mediocre poeta accademico, arcadico … Intanto è invecchiato precocemente , magro pallido emaciato col viso grommoso, in cui gli si legge il suo senso d’insoddisfazione a lungo repressa, che pesa in tutta la sua vita . Non cerca simpatie, partecipazioni o solidarietà dal mondo che rappresenta . Ma in fondo perché rappresentare quella gente sconcia e analfabeta , una plebe sguaiata , lercia, affamata? A che cosa gli sarebbe giovato? Infatti rimane clandestino e firma le sue poesie con il nomignolo di Peppe er tosto . Rifugge da ogni identificazione, da ogni riconoscimento di sé , da ogni affermazione di valori individuali o collettivi. La sua letteratura non è quella del Porta , lui non cerca nessun ideale , nessuna illusione, Aveva pensato di pubblicarle queste poesie clandestine, - Ne rideremo insieme , aveva detto all’amico Checco Spada, - e quelle risa ci varranno a prepararci l’animo alle possibili sciagure che ci minacciano. Tutti i grandi lo avevano incoraggiato , da Gogol a Saint Beuve. Aveva preparato anche l’introduzione , sembrava una cosa fatta. Ma poi ci aveva ripensato , era sopraggiunto il vecchio timore tipicamente belliano: non è un cuor di leone, lo sappiamo Anzi, è tutto e il contrario. E allora prende l’antidoto e ritorna il dottor Jekill . Anzi, li vorrebbe bruciare, quei sonetti , lo mette nel suo testamento , e quando s’affaccia il colera a Roma , nel 1837 , brucia le minute . Ma gli originali li affida a monsignor Tizzani , un prelato illuminato, amico e protettore nell’età matura
Aveva fondato una società di lettura, che era anche luogo di aggiornamento e di dibattito, era la nuova accademia di trastevere , l’aula un’ osteria , la lezione gliela impartiva il popolo, perché


Certe cose la ggente ricamata
Nun le capissce e ffra noantri soli
Sé po’ trovà la verità sfacciata



Ma ora , ora sconfessava tutto, aboliva l’università delle osterie e rientrava nella sua vecchia polverosa accademia tiberina , anzi ne diveniva il segretario, poi il vice presidente , infine il presidente. Gioachino rientrava in sé, in quello che era sempre stato , codino, reazionario, bacchettone . Ma dietro c’era qualcosa.
Qual è la verità ? Che cos’è la verità? , dov’è la verità ? , com’è la verità?


La verità è comm'è lla cacarella,
che cquanno te viè ll'impito e te scappa,
hai tempo, fijjia, de serrà lla chiappa,
e storcete e ttremà ppe rritenella.
E accusì, ssi la bbocca nun z'attappa,
la Santa Verità sbrodolarella
t'esce fora da sé dda le bbudella,
fussi tu ppuro un frate de la Trappa.
Perché ss'ha da stà zziti, o ddì una miffa
Oggni cuarvorta so le cose vere?
No: a ttemp'e lloco d'aggriffa s'aggriffa.
Le bbocche nostre iddio le vò sincere,
e ll'ommini je metteno l'abbiffa?
No: sempre verità; sempre er dovere.

13.AUTORE
Uno dice Giuseppe Gioachino Belli e rivede il suo arcigno monumento a Trastevere di Michele Tripisciano, a cui si è ispirato il nostro Giacomo Lombardozzi. Belli con la tuba, il bastone l’atteggiamento del borghese in una roma senza borghesia. Uno dice Belli e rivede la città morta dove li cardinali ce stanno ariccorti cor barbozzo inchiodato sur breviario , come tanti cadaveri de morti , e nun ve danno più segno de vita sin che nun je se accosta er caudatario a dije¨ “Emintentessimo , è finita”.
Rivede la roma deserto , roccaforte dell’oscuramento, caposaldo dei privilegi e delle ipocrisie secolari , ma anche , la Roma festaiola , che fa bisboccia ad ogni occasione, la Roma de io le so certe cose, io so romano, la Roma de che ppe grazzia de dio noi semo romani, la Roma de passamo noi, la Roma de che
ce frega e che ce ‘mporta , la Roma dei magnaccioni, la Roma de Nannì e de le gite a li castelli.

BAND: Nannì , na gita a li castelli



14.MARIANNA
Per Belli il vento è cambiato. Mariuccia è morta , il suo patrimonio dissestato , e dietro la bara e il cadavere ancora caldo, ci sono in fila i creditori. E lui senza i beni della moglie è un uomo disperato, finito, altro che viaggi, altro che vacatio nelle osterie . Se se ne va rapidamente in miseria , è costretto a lasciare la lussuosa casa della moglie e andare a vivere in un misero buio appartamento , in affitto . Ma nonostante le ristrettezze non ce la fa , chiede aiuto agli amici. Chiede , ed è questa la terza volta, di essere riassunto dallo stato pontificio . Beneficia già di due pensioni, senza aver praticamente mai lavorato seriamente, ma non gli bastano. Viene riassunto , e dopo un paio d’anni , è di nuovo in pensione , avendo lavorato un paio di mesi in tutto . Finalmente si gode la terza pensione, e i 38 scudi, che gli consentono di vivere decorosamente. Siamo nel 1849 a Roma ci stanno i rivoluzionari, è il periodo della Repubblica , Belli si tappa in casa come al solito , in attesa di tempi migliori . E tuttavia non si farà scrupolo di chiedere a Mazzini ( che lo apprezzava per la poesia antipapalina “vita da cane” , e credeva che fosse uno dei suoi seguaci ) l’esonero del figlio Ciro dal servizio militare obbligatorio. Come vedete il tengo famiglia di Flaiano c’è sempre stato, non è vero professore Gnoli ?, lei che ha conosciuto bene il Belli e ne ha scritto la prima biografia, ci può dire qual era la vera voce di Gioachino Belli?

15.DOMENICO GNOLI ( EZIO)
Era la voce di un uomo il cui nome e i cui versi erano noti a tutta Roma, che riguardavamo come una gloria nostra, una voce che rallegrava gli altri senza aver modo di rallegrar se stesso. Spesso mi diceva : “ Caro Mimmo, conosco il tasto dell’ilarità , tocco quello ed esso fa l’ufficio suo, io rimango intanto freddo e malinconico”. Era ben infelice il suo stato , poiché fanaticamente devoto dell’altare e del trono, non poteva aprire bocca senza che un allegro stormo di sonetti fuggitigli dal nido gli svolazzassero intorno, ridendogli sul viso e canzonandolo ; erano gli audaci araldi di idee dalle quali allora aborriva

MARIANNA: A proposito , professore , ci può dire come recitava i suoi sonetti il poeta?


Ci si trovava spesso in casa di Monsignor Bonaparte, la sera, e dopo il caffè. E tutti chiedevamo al poeta di recitare i suoi sonetti proibiti. Lui si faceva un po’ pregare, ma alla fine accettava. Si metteva in capo un berrettino di seta nera , che durante la declamazione si rigirava sul cranio calvo .La sua voce era alquanto sommessa, con espressivo spianare e aggrottare di ciglia, col più puro dialetto trasteverino, e certe gradazioni di voce e inflessioni finissime , pigliavano un colore che, recitati o letti, non avranno mai più. Non era possibile non smascellarsi dalle risa , soprattutto per la serietà a cui atteggiava il suo volto sbarbato sul quale invano avresti aspettato un sorriso . E quei versi che declamava quasi a ritegno , come ad esempio “ Il papa non fa niente”, non c’era verso di farglieli ripetere una seconda volta… (Sottofondo musicale)
…Lo ricordo come fosse adesso, povero Belli, con quella ipocondria che gli grommava giù dalla faccia , con quel suo fare da misantropo , a fronte alta, la faccia lunga e piuttosto gialla che pallida , i movimenti penosi , come d’uomo che abbia il freddo nelle ossa , lenti e arguti gli occhi , e la voce, chiuso il collo dal suo cravattone nero . E gli crescerà vieppiù quel freddo nelle ossa , povero Belli , con una serie di lutti che non gli danno tregua. Gli muoiono uno dopo l’ altro le persone più care, il nipotino diletto , la giovane nuora Cristina , gli amici Biagini e Ferretti , che erano per lui come fratelli. E si deve occupare del figlio Ciro , che dopo la morte della moglie, rimane come svuotato, inebetito, depresso , incapace di fare qualsiasi cosa, e lui , ormai vecchio e mlandato, è costretto a prendersene cura e occuparsi anche dei tre nipoti . Quel freddo nelle ossa lo sentirà sempre , non riuscirà più a scaldarsi, povero Belli…

16.AUTORE
Già, il freddo nelle ossa . Forse gli veniva forse dalla memoria , quel freddo nelle ossa, dagli strati più profondi della coscienza , era il brivido della sua parola poetica , anch’essa cifrata all’insegna di un ‘enigma .Muore per un colpo apoplettico, mentre i tre nipotini , nella stanza accanto, stanno giocando. Lo trovano caduto a terra, esanime. Giacomo, il nipote più grande, va a chiamare il parroco, poi la cugina, la bella Orsola Mazio, che gli sarà di gran conforto , in quegli ultimi supremi istanti….Tutte le sue donne sono lontane, perdute in una dimensione favolosa. Mariuccia nei freddi regni della morte, Cencia nelle Marche, l’ultima in ordine di tempo, l’attrice Amalia Bettini si è sposata e vive a Bologna , e l’adorata nuora, Cristina, acnh’essa se ne è andata nel regno freddo della morte a soli trentasette anni. Solo Orsola si china su di lui e lo bacia sulla fronte. Gioachino , a quel contatto, apre gli occhi e sorride . Ora può andare , con quel viatico è meno triste partire. Quando viene il figlio, Ciro, è troppo tardi. (Sottofondo musicale)
Alle otto e trenta della sera del 21 dicembre 1863, esattamente 145 anni fa , il cantore della plebe di Roma va a raggiungere i suoi papi che ha satireggiato, e la sterminata teoria di principi e plebei fermati in eterno dalla sua penna. La sua salma viene portata al Verano, e posta in un loculo sul muro di cinta , a destra dell’ingresso principale. Solo 40 anni dopo i suoi resti verranno esumati e deposti al PIncetto nella tomba di famiglia. Checco Spada detta la frase per la funebre lapide latina .

“Qui giace Giuseppe Gioachino Belli , romano , esemplare nella pietà , integro nei costumi , aspro nell’ingegno . Eccelse nella poesia più varia , divertendo e, insieme, ammonendo”.

PRESENTAZIONE AL PUBBLICO DEGLI INTERPRETI


IN CORO: MA CHI ERA GIOACHINO BELLI ?.....

GINGLE